Venezia. Processo ai "corvi", le accuse dell'ex sacerdote D'Antiga al patriarca: «Aveva gli occhi roteanti di fuoco, era un duce»

Processo ai "corvi", le accuse dell'ex sacerdote D'Antiga al patriarca: «Aveva gli occhi roteanti di fuoco, era un duce»
VENEZIA - Molto della testimonianza di ieri di don Roberto Donadoni nel processo ai corvi del patriarcato, ha ruotato attorno al trasferimento dell’ex don Massimiliano...

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VENEZIA - Molto della testimonianza di ieri di don Roberto Donadoni nel processo ai corvi del patriarcato, ha ruotato attorno al trasferimento dell’ex don Massimiliano D’Antiga da San Zulian e San Salvador nella Basilica di San Marco: perché sarebbe quello, ma è un sospetto mai provato, il motore immobile di tutta la vicenda. Legata a doppio filo con la riduzione allo stato laicale di D’Antiga da parte del Vaticano per disobbedienza al patriarca.


«Fino al 9 dicembre 2018 - ha ricostruito don Donadoni, parroco delle chiese dell’area Marciana e successore di D’Antiga - ero viceparroco di San Moisé. Dal 9 dicembre 2018 sono cambiate per me le cose: qualche giorno prima sono stato convocato dal patriarca il quale mi ha detto di aver parlato con il vescovo di Bergamo, che è la mia diocesi, e mi ha chiesto se ero disponibile a rimanere ancora a servizio di Venezia. Avuto il mio “sì” quando in una riunione successiva iniziò a elencare tutti gli spostamenti, ci fu una sollevazione di don D’Antiga a sentire la mia nomina nelle sue chiese e il suo spostamento a San Marco che non accettò, fu irremovibile. Per tre volte cercai di calmarlo, si alzò, offese il patriarca, gli dissi di smettere ma non ci fu nulla da fare. Ore dopo - ha continuato don Roberto - lo chiamai e si calmò. Il 13 dicembre andai a San Zulian, vedendomi lui iniziò a gridare dicendo che adesso sarebbero usciti tutti gli scandali interni alla curia e alla diocesi che lui conosceva, le cose che mi diceva e me le ritrovai poi sui volantini».

IL FIORETTO

Le accuse al patriarca e alla curia erano però precedenti. «A fine 2017 Massimiliano se ne usciva con esternazioni, le faceva con noi sacerdoti e nel consiglio pastorale. Nel maggio 2018, durante un fioretto per la Madonna, disse davanti a tutti che il Papa era un eretico e un uomo da non considerare. Se la prendeva con il patriarca Francesco chiamandolo “dragone, impostore”, che in una riunione aveva gli “occhi roteanti di fuoco, era un duce e che lui sarebbe stato il sassolino che lo avrebbe fatto cadere”. Sosteneva di essere a conoscenza di abusi in seminario, facendo i nomi. Criticava sempre tutto e tutti». 
Poi la decisione del patriarca e la successione tra i due sacerdoti: «quando ci passammo i documenti mi parlò di un’eredità di una donna anziana lasciata a lui e non alla chiesa. Lo feci notare al personale del patriarcato e lui si arrabbiò, fece tre volte il segno della croce e maledisse noi e il patriarca. A quel “dragone, bugiardo, impostore porto una bottiglia di vino avvelenata”, mi disse quando gli fu suggerito questo come gesto di conciliazione» ha ricordato don Donadoni. Che in tribunale ha portato un altro episodio: l’11 marzo 2018 era stato avvicinato da una parrocchiana che gli aveva chiesto di trovare una chiesa per D’Antiga altrimenti era già pronto un dossier su sesso, omosessualità e pedofilia in patriarcato. «Nei confronti di don D’antiga - è stata la risposta del sacerdote a una domanda del giudice Stefano Manduzio - furono fatti tutti i tentativi di riportarlo all’ovile compresa una lettera personale che il patriarca scrisse il giovedì santo. Molti preti hanno provato a farlo desistere. I genitori che lui seguiva scrissero anche al cardinale Gianfranco Ravasi, legato a D’Antiga. Lui rispose che Massimiliano avrebbe dovuto “fare il suo dovere e ascoltare il patriarca” ma non ci fu verso».

SOFFERENZA PERSONALE

«Sono stati cinque anni terribili»ha detto infine don Donadoni ricordando la stagione dei volantini diffamatori della curia veneziana, tra il 30 gennaio e il 6 agosto 2019. «La vicenda dei volantini ci ha amareggiato e pesa - le parole di don Gianmatteo Caputo, delegato patriarcale per i beni culturali e finito al centro dei volantini - Dietro c’è una mano intelligente, subdola e capace, sono testi costruiti in modo attento. Le accuse dei volantini toccano la sfera morale, sessuale e pastorale di alcuni sacerdoti. Si servono del ruolo pubblico e gerarchico per colpire».

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Il Gazzettino