PADOVA - «Quest'anno non fare il presepio credo sia il più evangelico dei segni. Non farlo per rispetto del Vangelo e dei suoi valori, non farlo per rispetto dei...
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Intervenendo a Radio Padova stamani don Luca ha chiarito il messaggio dicendo che «se il presepe deve essere pura esteriorità, allora tanto vale non farlo».
Il religioso rifiuta di indossare la tonaca, porta i capelli lunghi, confessa di andare quasi più d'accordo con i non credenti e ha avuto più di qualche contrasto con la gerarchia ecclesiastica. E pure questa volta non ha peli sulla lingua, forte del fatto che - per una volta - la sua non è una voce fuori dal coro. Anche il giornale della Conferenza episcopale italiana Avvenire ha pubblicato un corsivo a firma del direttore che critica aspramente chi a parole si professa cristiano ma coi fatti si dimentica delle basi: Amore e Carità. Una critica aspra contro il decreto sicurezza voluto dal ministro dell'Interno, Matteo Salvini che al giornale ieri ha replicato: «Molte persone di chiesa mi chiedono di andare avanti». E nei giorni scorsi c'era stata la polemica sulla decisione della direzione didattica delle scuole di Favaro Veneto di non fare il presepe per una questione economica, la raccolta firme della bimba di 10 anni di Campagna Lupia per costringere le maestre a re-inserire Gesù nella canzoncina di Natale e il ministro dell'Istruzione Marco Bussetti che invita a non nascondere crocefisso e presepe nelle scuole, arriva la presa di posizione del religioso padovano.
L'IPOCRISIA «Non possiamo usare i simboli cristiani per fare battaglie ideologiche. Così si corre solo il rischio di essere ipocriti - commenta sprezzante - In chiesa diciamo che siamo tutti fratelli e poi appena usciamo da quella porta facciamo il contrario. Io mi sento offeso da questo comportamento, da chi invita a fare il presepe fregandosene degli altri e poi butta in mezzo alla strada le persone, come prevede il decreto insicurezza di Salvini. Per questo dico che non fare il presepe quest'anno sia il più evangelico dei segni».
Favarin entra nel dettaglio: «Il presepe è l'esempio dell'accoglienza dello straniero, più straniero che si può. La famiglia di Gesù era di profughi esiliati e senza dimora. Il cristiano di fronte al presepe dovrebbe aprire il cuore, non plaudire al decreto sicurezza, che umilia l'essere umano. Se una persona crede nel Vangelo, non può avere sentimenti di odio e razzismo. Come posso accogliere Dio e non farlo con le persone?».
L'APPOGGIO Il vicario episcopale di Padova don Marco Cagol, sposa il pensiero del suo prete di strada, seppur usando parole più ponderate: «Ciò che ha detto don Luca è forse una provocazione per richiamare la necessità di una coerenza oltre i segni. Il presepio è un segno cristiano che parla alla vita quotidiana, perché essere cristiani è dare una forma reale alla vita quotidiana: è credere in Dio, è sapere che la storia va verso il bene, è amare con tutto se stessi gli altri, facendosi carico del loro desiderio di vita piena. Spiace vedere che ogni anno presepio o crocifisso diventano occasione di inutili polemiche che superano il senso profondo di ciò a cui si riferiscono».
Il vescovo di Campobasso, monsignor Giancarlo Bregantini, ha deciso di veicolare il medesimo concetto dal pulpito durante l'omelia: «Non si possono venerare i nostri simboli religiosi senza essere coerenti. Ad esempio non si può fare il presepe e non accogliere negli Sprar due sposi di una coppia vera di giovani che hanno avuto un bambino qualche mese fa e che ora stanno per strada. Non si può venerare il crocifisso senza avere solidarietà con i crocifissi della storia. Questo è il nodo principale che stiamo combattendo».
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Il Gazzettino