«Anche mio nonno in quel piroscafo affondato»: l'ex sindaco Gobbo e il nuovo monumento

A destra Paolo Gobbo con Alcide De Gasperi
FARRA DI SOLIGO - «Mio nonno ha raccontato di essere stato 3 giorni e 2 notti in mezzo al mare in attesa che qualcuno lo recuperasse. Non ne parlava volentieri, ma in...

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FARRA DI SOLIGO - «Mio nonno ha raccontato di essere stato 3 giorni e 2 notti in mezzo al mare in attesa che qualcuno lo recuperasse. Non ne parlava volentieri, ma in famiglia la storia era nota. Lui sapeva nuotare a differenza degli altri soldati che venivano per lo più dalla pedemontana e dalla montagna, anche perché la nostra famiglia ha origini veneziane e Treviso comunque non è molto distante dal mare». A parlare è l'ex sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo, rievocando la storia del nonno Paolo, sopravvissuto alla tragedia dimenticata del Piroscafo Principe Umberto, avvenuta più di un secolo fa durante la Prima Guerra Mondiale. «A causa della lunga permanenza in mare trascorsa galleggiando, ha riportato un'infermità psico-neurologica - continua Gobbo - Questo tuttavia non gli ha impedito di portare a termine il suo compito combattendo fino alla fine della guerra. Nel 1923, viste le ferite subite, gli hanno assegnato una piccola pensione di invalidità che nel 1925 decide di non percepire più visto che si era rimesso in salute. Lui è stato fortunato, è sopravvissuto e poi si è saputo costruire una posizione; se non si fosse salvato io non ci sarei». 


 

LA STORIA

Le memorie dei parenti di chi ha vissuto questa tragica esperienza, passata all'epoca sotto silenzio dalle autorità per non turbare l'animo dei soldati impegnati in guerra e taciuta anche dopo, riemergono in questi giorni che precedono il 105. anniversario dell'affondamento. La sera dell'8 giugno 1916 il Piroscafo Principe Umberto salpa da Valona, in Albania, per riportare il 55° Reggimento Fanteria in Italia. Appena fuori dal porto, nonostante la scorta e l'assicurazione che la situazione fosse tranquilla, la nave viene colpita e affondata da un sottomarino austriaco, colando a picco in pochi minuti. È il più grande disastro navale della Grande Guerra con 1.926 vittime: 698 veneti, di questi 522 di Treviso e provincia, la zona che ha avuto il più alto numero di morti in assoluto di tutta Italia. A Treviso, si contano ben 25 caduti, ma c'è anche chi si è salvato, come il nonno dell'ex sindaco. Paolo Gobbo, classe 1895, era partito come volontario per il fronte a vent'anni nel 1915. L'8 giugno 1916 era tra i soldati finiti in mare nella fatidica sera del trasferimento che avrebbe dovuto portarli a rinforzare il fronte sull'Isonzo, riavvicinando molti di loro a casa. Non è stato altrettanto fortunato un giovane di Carpesica, frazione di Vittorio Veneto, ricordato dalla nipote, morto tra atroci sofferenze: «Su quella nave c'era anche mio zio Tiziano Scottà. Era riuscito ad arrivare alla scialuppa di salvataggio, ma siccome era piena e si voleva dare la precedenza agli uomini con figli, gli vennero amputate le mani, per cui è affogato».

IL TRIBUTO

Domani alle 11.30 verrà inaugurato un monumento in pietra scolpito da Pietro Stefan al Parco della Chiesa di Santa Maria dei Broi di Farra di Soligo, dedicato ai 26 caduti del Quartier del Piave, fortemente voluto dal sindaco di Farra di Soligo Mattia Perencin, da don Brunone De Toffol e da Diotisalvi Perin, presidente del Museo del Piave. Gli organizzatori si sono offerti di raccogliere le testimonianze di chiunque volesse condividere i propri ricordi, per non dimenticare questa immane tragedia. La proposta è di innalzare un monumento commemorativo simile anche a Treviso, dedicandolo con una targa ai 25 caduti del naufragio.
 

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Il Gazzettino