Uccise la moglie col veleno, i figli ora gli chiedono i danni: 250 mila euro

Gianluca Cappuzzo
PADOVA - Il precetto di pagamento gli verrà consegnato in carcere. I 250 mila euro del risarcimento, deciso dalla Corte d’assise di Padova, serviranno per mantenere i...

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PADOVA - Il precetto di pagamento gli verrà consegnato in carcere. I 250 mila euro del risarcimento, deciso dalla Corte d’assise di Padova, serviranno per mantenere i due figli, orfani della madre, che lui ha ucciso tredici anni fa. Ma in tutti questi anni Gian Luca Cappuzzo non ha versato neanche un euro al tutore dei due ragazzi, nominato dai giudici. L’aspirante chirurgo, che l’8 febbraio 2006, quando era uno specializzando, anestetizzò la moglie Elena Fioroni con l’etere, l’avvelenò con un cocktail di farmaci e ne simulò il suicidio tagliandole le vene dei polsi, sta scontando una condanna a 26 anni per omicidio. I due figli, che al tempo della tragedia avevano quattro e tre anni, vivono con la madre dell’ex aspirante chirurgo. Ma i familiari di Elena Fioroni adesso vogliono il risarcimento da mettere da parte per i ragazzini e hanno dato mandato all’avvocata Paola Bordin Boev di procedere al precetto di pagamento.


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“In tutti questi anni il dottor Capuzzo non ha versato un euro del risarcimento deciso dai giudici. E’ la madre di Elena Fioroni che sostiene in misura prevalente il mantenimento dei nipoti. E il risarcimento dovrà salvaguardare il futuro dei due ragazzini”, afferma l’avvocata Bordin Boev.
IL DELITTO
Lui, trentacinquenne, medico e attivista politico, lei, trentunenne, giovane donna di famiglia benestante, due bimbi piccoli nati dopo il matrimonio. Chiuso nel carcere padovano, Cappuzzo ha anche lavorato nel call center dell’Azienda ospedaliera, ha imparato a coltivare le piante nell’orto comune, ma ha pure iniziato a studiare Giurisprudenza. Una serie di impegni che hanno confermato l’intento riabilitativo del carcere e che gli hanno fatto conquistare dei permessi premio. I suoi studi stanno volgendo al termine, così il tribunale di Sorveglianza gli aveva concesso un anno fa un permesso premio di nove ore, dalle 9 alle 18, durante le quali ha potuto svolgere alcune ricerche, essenziali per la tesi di laurea, nella biblioteca di studi giuridici al Bo. E la pausa pranzo, Cappuzzo ha potuto passarla in uno dei ristoranti del centro a sua scelta. Un permesso contro il quale la procura di Padova aveva presentato ricorso. Negli ultimi dieci anni, l’ex aspirante chirurgo, radiato dall’Ordine dei medici, ha iniziato ad accumulare gli “sconti” previsti dalla legge, 45 giorni ogni sei mesi di pena anticipata. Grazie all’indulto e alla buona condotta, Cappuzzo potrebbe uscire prima del termine della pena.
LA SENTENZA

“Per l’omicidio commesso da Capuzzo la pena editale prevista è quella dell’ergastolo”, scrivono i giudici nelle motivazioni della condanna. E aggiungono: “Tuttavia devono essere riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti in base a considerazioni attinenti alla personalità e al carattere dell’imputato. Elementi che ne delineano una capacità a delinquere molto modesta”. Per gli inquirenti il movente del delitto erano stati i soldi. Lei aveva una rendita mensile di 4 mila euro, lui 900 euro da medico specializzando. E tra i vari legami ci sarebbe stata una procura generale con cui Cappuzzo poteva fare quello che voleva sul patrimonio di lei. Perdendo la moglie avrebbe perso tutto, la casa di Voltabarozzo, i figli, gli agi cui era abituato. Lei era la ricca, che pagava i conti del marito, i suoi capricci da bambino troppo cresciuto. Elena Fioroni voleva la separazione. Durante il processo un’amica della vittima, ex moglie di un noto regista cinematografico, raccontò ai giudici: “La notte del 5 gennaio Cappuzzo aveva svegliato Elena e portata fuori casa dicendole che la madre di lei era stata colta da un malore. Invece la portò su un argine e, minacciandola con la pistola, le disse che l’avrebbe ammazzata e e si sarebbe ammazzato se fosse andata avanti con la separazione. Elena però non ne poteva più di quel rapporto di cui era da sola di fronte alle difficoltà”. Le amiche della vittima avevano raccontato ai giudici che Elena Fioroni si sentiva sola e dopo la nascita della figlia era sprofondata in una vera depressione, tanto da trascorrere un mese nella casa di cura Parco dei Tigli. Sola a casa con i figli con i quali, diceva, il marito si mostrava freddo. Poi, con il supporto di uno psicoterapeuta, era ritornata a vivere serena come prima e non voleva più il peso di un matrimonio finito.
Lino Lava  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino