«Operata al seno, poi questo calvario»: due medici alla sbarra

«Operata al seno, poi questo calvario»: due medici alla sbarra
PIEVE DI CADORE - «Mi dicevano sempre che andava e tutto bene, ma c’era una necrosi al seno destro. Eppure loro mi avevano rassicurato dicendomi che non c’era...

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PIEVE DI CADORE - «Mi dicevano sempre che andava e tutto bene, ma c’era una necrosi al seno destro. Eppure loro mi avevano rassicurato dicendomi che non c’era nulla di cui preoccuparsi». Da brividi il racconto della donna che visse un calvario dopo un intervento di mastoplastica riduttiva. Con la voce rotta dal pianto ieri ha spiegato in Tribunale a Belluno quello che ha passato, nel processo che vede imputati due medici dell’ospedale di Pieve di Cadore. Alla sbarra per lesioni personali aggravate in concorso Stefano Valletta, 61enne nato a Belluno (difeso dall’avvocato Sandro De Vecchi) e il coetaneo collega Sebastiano Muccio, originario di Catania (difeso dall’avvocato Cristiana Polesel di Foro di Treviso). La paziente è parte civile con l’avvocato Mauro Gasperin, per vedere risarciti i danni patiti: per le conseguenze di quell’intervento perse anche il lavoro. «Non auguro a nessuno quello che ho passato - ha detto ieri - ho un buco sul seno destro e un dolore continuo». 

L’ACCUSA
L’intervento per ridurre il seno, in gergo tecnico mastoplastica riduttiva bilaterale, andò bene. Venne effettuato il 2 dicembre 2014 dai due chirurghi nell’ospedale di Pieve di Cadore. Ma secondo l’accusa nelle visite di controllo i due avrebbero «sottovalutato la mancata guarigione della ferita della mammella destra e l’infezione successivamente insorta». «Avevo problemi di schiena e di salute - ha raccontato ieri la donna -. L’intervento sembrava andato bene, ma c’era uscita di sangue dal seno. Sentivo il seno gonfio, sentivo spingere. Ho fatto il normale decorso ospedaliero fino al 8 dicembre poi sono stata dimessa. Successivamente andavo dentro e fuori l’ospedale a fare le medicazioni. Mi dicevano sempre che andava e tutto bene. Il virus poteva essere curato con un farmaco ma mi hanno detto di non preoccuparmi che non serviva fare nulla». Le cose peggiorano. «Puzzavo e mi vergognavo - ha proseguito - e il 16 febbraio sono andata al pronto soccorso di Belluno perché ero esausta e sfinita. Mi hanno subito mandato in Chirurgia: con i tamponi hanno trovato lo stesso virus, infezione da “Corynebacterium striatum”, e mi hanno ricoverato, dandomi l’antibiotico. Il 14 marzo sono stata dimessa».
I PERITI

Il medico legale incaricato dalla Procura, Alberto Furlanetto, ha confermato che c’è stata una colpa medica. «Tra dimissione l’8 dicembre 2014 e il 23 febbraio 2015 è stata sottoposta a 14 controlli ambulatoriali- ha detto -. Si e dovuti arrivare al settimo controllo, 26 giorni dopo l’intervento, prima che si disponesse terapia antibiotica generica, senza tampone. L’undicesimo controllo, 47 giorni dopo, prima che si decidesse di fare un tampone. Ritengo che sia censurabile che nei controlli successivi a intervento si sia trascurato infezione in atto». Di diverso avviso il consulente della difesa, il medico legale Silvano Zancaner, che ha parlato di una serie di «sfortunati eventi», ma senza responsabilità medica. Il giudice Cristina Cittolin ha deciso di nominare un superperito, che analizzerà la questione: si torna in aula il 17 marzo.
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Il Gazzettino