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TREVISO - Condannata per bancarotta la famiglia Ferrarese, storica dinastia di commercianti e una delle più conosciute di Treviso. La sentenza, emessa dal tribunale in composizione collegiale, riguarda il crac della vecchia proprietà del negozio Campana che da decenni (e lo è tutt'ora, dopo essere stato rilevato e rilanciato, ndr) è un punto di riferimento del commercio del centro storico. I giudici, presieduti da Francesco Sartorio, hanno inflitto tre anni e quattro mesi di reclusione a Francesco Ferrarese, tre anni e due mesi al fratello Tommaso e due anni al padre Giovanni, che peraltro è stato assolto per uno dei capi d'imputazione e dichiarato prescritto per un altro rispetto ai tre per i quali era finito a giudizio assieme ai due figli. I giudici hanno anche disposto per tutti l'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, oltre alle pene accessorie previste dalla legge per quanto concerne i reati finanziari. Sul piatto c'era un passivo accertato dal curatore fallimentare superiore a 1,6 milioni di euro dopo il crac decretato dal tribunale di Treviso quasi undici anni fa, nel 2012. Esito della crisi economica che investì il nostro Paese nel lontano 2008.
La famiglia Ferrarese e il negozio storico in centro
Giovanni Ferrarese e i suoi due figli, difesi in aula dagli avvocati Jacopo Stefani e Francesco Burighel che hanno già annunciato che (in attesa delle motivazioni della sentenza) sono intenzionati a presentare ricorso in appello, hanno sempre respinto le accuse sostenendo che ogni operazione era stata fatta in buona fede per riuscire a portare avanti l'attività e saldare i debiti nei confronti dei fornitori e dei dipendenti.
Le accuse
L'accusa sosteneva che tra il 2009 e il 2010 Tommaso e Francesco Ferrarese avevano effettuato alcuni prelievi bancomat dai conti della società e per ragioni personali per un importo di circa 250mila euro. Cifra mai più rientrata nelle casse aziendali. In più avevano affittato il ramo d'azienda alla Gft, società fallita qualche anno dopo e che faceva riferimento a Tommaso Ferrarese, compensando debiti e crediti con materiale di magazzino per oltre un milione di euro. Accuse rispetto alle quali il curatore fallimentare, nel corso precedenti udienze, aveva spiegato in aula che la società a quel tempo era impegnata in una sorta di "lifting", ovvero una pulizia dei debiti attraverso cui avrebbe ottenuto nuove linee di credito, con la Gtf che aveva utilizzato gran parte della liquidità per pagare i propri dipendenti. Al solo Giovanni Ferrarese (accusa dalla quale è stato assolto perché il fatto non sussite, ndr) veniva contestato di aver ricevuto somme di denaro relative a crediti, che derivavano da cause vinte contro istituti di credito per anatocismo, a una cifra molto inferiore al loro valore. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino