Il crac del negozio Campana e la famiglia Ferrarese: 8 anni di condanne

Giovanni Ferrarese e i suoi due figli sono intenzionati a presentare ricorso in appello e hanno sempre respinto le accuse sostenendo che ogni operazione era stata fatta in buona fede per portare avanti l'attività e saldare i debiti nei confronti di fornitori e dipendenti

Venerdì 10 Febbraio 2023 di Giuliano Pavan
Il crac del negozio Campana e la famiglia Ferrarese: 8 anni di condanne

TREVISO - Condannata per bancarotta la famiglia Ferrarese, storica dinastia di commercianti e una delle più conosciute di Treviso. La sentenza, emessa dal tribunale in composizione collegiale, riguarda il crac della vecchia proprietà del negozio Campana che da decenni (e lo è tutt'ora, dopo essere stato rilevato e rilanciato, ndr) è un punto di riferimento del commercio del centro storico.

I giudici, presieduti da Francesco Sartorio, hanno inflitto tre anni e quattro mesi di reclusione a Francesco Ferrarese, tre anni e due mesi al fratello Tommaso e due anni al padre Giovanni, che peraltro è stato assolto per uno dei capi d'imputazione e dichiarato prescritto per un altro rispetto ai tre per i quali era finito a giudizio assieme ai due figli. I giudici hanno anche disposto per tutti l'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, oltre alle pene accessorie previste dalla legge per quanto concerne i reati finanziari. Sul piatto c'era un passivo accertato dal curatore fallimentare superiore a 1,6 milioni di euro dopo il crac decretato dal tribunale di Treviso quasi undici anni fa, nel 2012. Esito della crisi economica che investì il nostro Paese nel lontano 2008.


La famiglia Ferrarese e il negozio storico in centro


Giovanni Ferrarese e i suoi due figli, difesi in aula dagli avvocati Jacopo Stefani e Francesco Burighel che hanno già annunciato che (in attesa delle motivazioni della sentenza) sono intenzionati a presentare ricorso in appello, hanno sempre respinto le accuse sostenendo che ogni operazione era stata fatta in buona fede per riuscire a portare avanti l'attività e saldare i debiti nei confronti dei fornitori e dei dipendenti. Cosa che peraltro è stata fatta visto che, al momento della definizione dello stato passivo davanti al tribunale fallimentare, né i fornitori né i dipendenti si sono insinuati lamentando crediti non corrisposti. Circostanza che sottolinea, stando alle parole della difesa, il tentativo di salvare in tutti i modi lo storico negozio dovendo far fronte a un periodo di crisi economica che, tra il 2008 e il 2010, ha messo in crisi diversi esercizi commerciali del centro storico. Resta che l'accusa della Procura nei confronti di Giovanni Ferrarese, e dei due figli Francesco e Tommaso, era quella di bancarotta fraudolenta e documentale. Gli inquirenti sostenevano che il fallimento poteva essere evitato se i soci fossero intervenuti già nel 2008 con azioni diverse rispetto ai tentativi di salvataggio intrapresi, che a conti fatti hanno portato non a una soluzione ma a un peggioramento dello stato dell'azienda. Per i magistrati c'erano però anche degli elementi tali da provare la bancarotta per distrazione, oltre al "pasticcio" delle scritture contabili tenute, secondo il pubblico ministero, in modo tale da rendere quasi impossibile la ricostruzione dell'effettivo stato patrimoniale, creando così pregiudizi ai creditori.


Le accuse


L'accusa sosteneva che tra il 2009 e il 2010 Tommaso e Francesco Ferrarese avevano effettuato alcuni prelievi bancomat dai conti della società e per ragioni personali per un importo di circa 250mila euro. Cifra mai più rientrata nelle casse aziendali. In più avevano affittato il ramo d'azienda alla Gft, società fallita qualche anno dopo e che faceva riferimento a Tommaso Ferrarese, compensando debiti e crediti con materiale di magazzino per oltre un milione di euro. Accuse rispetto alle quali il curatore fallimentare, nel corso precedenti udienze, aveva spiegato in aula che la società a quel tempo era impegnata in una sorta di "lifting", ovvero una pulizia dei debiti attraverso cui avrebbe ottenuto nuove linee di credito, con la Gtf che aveva utilizzato gran parte della liquidità per pagare i propri dipendenti. Al solo Giovanni Ferrarese (accusa dalla quale è stato assolto perché il fatto non sussite, ndr) veniva contestato di aver ricevuto somme di denaro relative a crediti, che derivavano da cause vinte contro istituti di credito per anatocismo, a una cifra molto inferiore al loro valore.

Ultimo aggiornamento: 14:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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