ARZERGRANDE - Dopo la jihadista trevigiana Sonia Khediri, anche la padovana Meriem Rehaily, 22 anni, è stata rintracciata e anche lei si dice «pentita»....
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Meriem Rehaily, 22 anni, studentessa di origini marocchine residente nel padovano, era fuggita da casa per raggiungere a 19 anni la Siria come combattente dello Stato islamico. La foreign fighter ha due figli, il capo coperto dal niqab e sa bene che sulla sua testa pende una condanna in contumacia a quattro anni emessa il 12 dicembre scorso dal Tribunale di Venezia. Si trova nella tendopoli di Roj, nel nord est della Siria, dove sono in custodia un migliaio di mogli dell'Isis con i loro bambini. «Sono una terrorista per il governo, ma in Italia non ho fatto niente», si difende. A Raqqa si è sposata con un palestinese che ha combattuto contro i soldati di Bashar e da lui ha avuto due figli di un anno e mezzo e sei mesi. Meriem era riuscita a rientrare in contatto con i genitori che, anche tramite un appello indirizzato alle autorità curde, stanno cercando di farla tornare a casa. Alla notizia che la figlia è viva il padre Redouane Rehaily si dice felice: «è un giorno di vera festa, siamo tutti contenti. L'abbiamo riconosciuta subito vedendo la foto del Giornale. Abbiamo sempre detto che era stata plagiata e che voleva tornare a casa».
«Il padre non ha mai perso i contatti con la figlia, ha sempre saputo tutto di lei, ma non ha mai voluto parlare». Non nasconde il suo scetticismo parlando con l'Ansa l'avvocato Andrea Niero, difensore d'ufficio di Meriem Rehaily nel processo che l'ha vista condannata a 4 anni dal Tribunale di Venezia per terrorismo, commentando la presunta svolta nel caso della foreign fighter padovana di origini marocchine. «Io vedo una regia dietro al caso di questa ragazza - osserva -.Viene sempre fuori una notizia quando c'è un calo di interesse sulla vicenda. E ogni volta una versione diversa. Io resto della mia idea: Meriem viene 'utilizzatà da qualcuno». Per Niero vi sono molti punti oscuri nella sparizione, nella descrizione che si è fatta di lei e in quanto è avvenuto dopo la sua fuga dall'Italia. «Non si è indagato sulle sue amicizie - aggiunge alludendo a chi l'ha aiutata a raggiungere la Siria - o magari gli accertamenti ci sono stati ma non sono stati resi noti».
Il legale non crede neppure all'immagine di una Meriem hacker consumata, genio dell'informatica, quanto piuttosto ad una studentessa con normali conoscenze della rete. Si dice poi poco convinto del suo pentimento. «Se fosse realmente pentita chiederebbe veramente scusa - conclude - il rischio è invece che tornata in Italia e scontata la pena continui a fare proselitismo». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino