«Io, al centro del focolaio in casa di riposo: così è iniziato il contagio»

Il racconto del medico Guglielmo Giglia, in prima linea alla Padre Kolbe di Pedavena
PEDAVENA - Si è trovato al centro del focolaio più grosso scoppiato in provincia, a tu per tu con i malati. Lì ha contratto il virus: solo ieri, dopo 46...

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PEDAVENA - Si è trovato al centro del focolaio più grosso scoppiato in provincia, a tu per tu con i malati. Lì ha contratto il virus: solo ieri, dopo 46 giorni, il tampone negativo. Il dottore della casa di riposo Padre Kolbe nei giorni dell’emergenza, Guglielmo Giglia, racconta come ha vissuto quel periodo in prima linea. Ora non è più a servizio della struttura: aveva in cura 40 dei 150 ospiti e lavorava lì da febbraio. «Non sono scappato», precisa il medico che ha come riferimento e sul comodino “L’Esortazione ai medici della peste” di Albert Camus e mai si sottrarrebbe alla sua missione. «L’ultima cosa che farei è scappare da codardo - afferma Giglia -: vedere quegli anziani nella casa di riposo e come lavorano gli operatori ti vien voglia solo di aiutare. Ma mi è stato proposto dalla direttrice di dimettermi. Facendo due conti della malattia e del lungo periodo di convalescenza che avrei dovuto fare, ho accettato. Forse mi hanno utilizzato come un capro espiatorio: quando le cose non vanno bene... Un po’ mi sento così». 

IL CONTAGIO
Il dottor Giglia parla dalla sua casa di Belluno, dove è ancora in isolamento. La mamma gli posta da mangiare e lo lascia fuori dalla porta. Prende tutte le precauzioni per salvaguardare gli anziani genitori. Sta ancora male, i primi sintomi li ha avuti i primi di aprile, il tampone positivo l’11 aprile e solo ieri è arrivato quello negativo. «In 50 anni - racconta - non ho mai avuto qualcosa di simile. Ho dolori muscolari spaventosi e sono debolissimo, le gambe non mi reggono. E per fortuna che l’ho preso in forma leggera, ma è da più di un mese che combatto. Ho una carica virale addosso enorme proprio per essere stato esposto così a lungo al virus». Nonostante i sintomi già dai primi di aprile ha avuto a lungo diversi tamponi negativi. «Io sono sempre andato a lavorare per aiutare - dice il medico - c’era tanto da fare e non potevo lasciare scoperto il mio posto in quella emergenza. Ho avuto due giorni in cui stavo male e per stare sveglio dovevo bere fino a 7 caffè al giorno. Ma i primi tre tamponi che ho fatto, tra l’8 e il 9 aprile, erano negativi e quindi ho continuato a operare». «Mi facevo tutti i piani - prosegue - con pazienti che mi inalavano addosso, ma non si pensava che fossero positivi. E all’inizio poi non si sapeva che era così contagioso, solo dopo ci siamo bardati a prova di Covid, prima c’era solo la mascherina, forse insufficiente». «E pensare che all’inizio dell’emergenza alla Kolbe - sottolinea - non c’era nessun caso, tanto che eravamo felici e conteni e continuavamo a cantarci “Andrà tutto bene”. Poi sono iniziale le febbri, un sacco di febbri tra gli ospiti, e il primo positivo».
L’ORIGINE
«Inutile andare a cercare come sia entrato il virus in struttura - dice il dottore -sicuramente un asintomatico. Ma la struttura, lo posso testimoniare, era stata blindata da inizio marzo. Avevano addirittura cambiato il codice d’accesso alle porte. Non so se ci sono case di riposo che hanno agito meglio, ma tutti lì dentro hanno dato il 100%, operatori e infermieri che sono stati anche contagiati. E per fortuna che gli ospedali Feltre e Belluno ci hanno aiutati. Poi il dispiacere di sapere dei deceduti: persone che hai curato con amore, anziani indifesi». 
LA MISSIONE

«Quando mi sono ammalato la direttrice mi ha proposto le dimissioni - spiega Giglia - mi rendevo conto che non potevo lasciare scoperto il mio posto in quel momento in cui il focolaio era al massimo e, non sapendo per quanto tempo ancora sarei rimasto a casa, ho convenuto che era la scelta giusta. Però rientrerei sicuramente in una casa di riposo. Ho imparato a trattare con le persone che han bisogno di te e vedere poi purtroppo che tutti questi sforzi son stati rovinati da questo maledetto virus...Rientrerei, ma ho bisogno di convalescenza i segni di questo virus li porto ancora su fisico e psiche».
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Il Gazzettino