Le prime parole di Marco Zennaro alla famiglia: «Sono all'inferno con centinaia di persone, riportatemi a casa»

VENEZIA - Trasferito di carcere, costretto a un inferno dal quale teme di non uscire più.  Un inferno descritto dal primo racconto in presa diretta che...

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VENEZIA - Trasferito di carcere, costretto a un inferno dal quale teme di non uscire più.  Un inferno descritto dal primo racconto in presa diretta che arriva dal carcere del Sudan dove continua la prigionia di Marco Zennaro l’imprenditore veneziano di 46 anni, accusato di frode e trattenuto nel paese da poco meno di undici settimane.

Marco Zennaro è riuscito a parlare con il padre che lo ha raggiunto in Sudan.  Racconta di essere stato trattenuto per ore in uno stanzino buio senza sapere cosa sarebbe poi successo. Solo in un secondo momento ha compreso che era stato trasferito dalla cella del commissariato a quella della prigione, che accoglie centinaia di detenuti colpevoli di qualsiasi reato. 

 «Sono rimasto 8 ore nel carcere del Palazzo della Corte, dove non sapevo nemmeno di doverci andare - ha raccontato Marco Zennaro al padre -  Uno stanzino sottoterra al buio. Senz’acqua né gabinetto né modo di comunicare con l’esterno. Mi era stato detto che era per portarmi in albergo. Ma la corte ha deciso il contrario: quindi mi sono ritrovato di nuovo in carcere». A quel punto inizia il viaggio di Marco verso il carcere della capitale: «Mi è stato detto di salire su una camionetta di latta, eravamo 40 persone per un viaggio di un'ora e mezza nel traffico di Khartoum. Tutti ammassati. Un forno a 50 gradi. Quando sono arrivato in carcere ho avuto paura, non sapevo cosa mi aspettasse. Nessuno sapeva nulla, non avevo il telefono e nessuno parlava inglese. Mi hanno fatto attraversare il settore dei detenuti per omicidio, spacciatori e criminali: un inferno di 700-800 corpi ammassati uno a ridosso dell’altro. Alla fine mi hanno messo nella sezione di reati penali con giustificazione finanziaria. Ci saranno 200 persone. Mi hanno preso in cura tutti i miei nuovi compagni perché hanno detto di aver visto un morto. Sono ostaggio di un sistema senza regole. Vi prego riportatemi a casa dalla mia famiglia».

LA CONTROVERSIA

La controversia, ricordiamo, riguarda una partita di trasformatori elettrici che la ditta di Zennaro ha venduto al suo distributore locale, Ayman Gallabi, che l’aveva ritenuta non conforme al contratto. Marco Zennaro allora si è recato a Khartum nella seconda metà di marzo per comprendere le ragioni della contestazione. Da allora non è più riuscito a fare ritorno in Italia, passando da una cella del commissariato a quella della prigione, nonostante un primo rimborso di 400 mila euro concordato con Gallabi, il cui corpo però è stato poi ritrovato morto nel Nilo, il 22 maggio. E nonostante l’ambasciatore italiano, Gianluigi Vassallo, e la Farnesina stiano cercando una conciliazione con i clienti finali della fornitura e con la società elettrica sudanese Sedc, diretta da un parente stretto del generale Mohammed Dagalo, vice presidente del governo di transizione in Sudan. 

 

LE ULTIME ORE

Dopo un'udienza lampo in tribunale, ieri Marco Zennaro è stato trasferito nel carcere della capitale sudanese. La speranza era che potesse andare agli arresti domiciliari in hotel, in attesa del 10 giugno quando il suo caso tornerà di fronte al giudice. Ritornare in cella è stato un duro colpo. «È stata una doccia fredda, dopo l'intervento della Farnesina ci aspettavamo che a Marco fossero concessi gli arresti domiciliari in albergo ed invece è stato trasferito nel carcere di Karthoum», ha commentato Alvise Zennaro il fratello dell'imprenditore.  Adesso l'attesa per Marco, la sua famiglia e tutti gli amici che lo rivogliono presto a casa è che per il prossimo 10 giugno, quando è fissata un'udienza civile per risolvere la controversia commerciale, mentre tutte le accuse penali per la presunta frode sono già cadute, secondo quanto deciso dallo stesso procuratore generale di Karthoum, possa essere liberato.

 

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Il Gazzettino