Il caso della mamma che si è data fuoco. «La bambina? Meglio sia adottata»

Polizia
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TREVISO - «Sarebbe bello sapere cosa fare. Il problema è che non lo so. Questa vicenda ha travolto tutti, compresa la mia famiglia. Non so a questo punto se sia meglio evitare di chiedere l'affidamento della bimba». Il 69enne, dopo che la donna con cui ha avuto una storia extraconiugale nove anni fa si è data fuoco lunedì mattina di fronte al Tribunale dei minori di Mestre perché le è stata tolta la patria potestà della figlia, è stremato. E vuole essere lasciato in pace. «Il dramma ormai si è consumato - fa sapere - Spenti i riflettori della cronaca tornerà a essere un qualcosa di privato. Deciderò con il mio avvocato la cosa più giusta da fare. Tenendo sempre presente il bene della bambina». Di andare a trovare l'ex amante in ospedale non ne vuole quasi sentir parlare: «Non saprei come potrebbe reagire. In fondo mi ha sempre visto come la causa della perdita della patria potestà. Ma io non c'entro nulla. Spero si riprenda presto, non vedermi la lascerà più tranquilla». 


LA SITUAZIONE
«Abbiamo trenta giorni per decidere cosa fare - afferma il legale dell'uomo, l'avvocato Andrea Nieri - In ogni caso sarà una scelta difficile e dolorosa, e dettata dalla necessità di fare il meglio per la bambina». Le possibilità sembrano essere soltanto due: scegliere di crescere la piccola e accoglierla in casa o lasciare che il percorso di adozione si concluda, affidandola all'amore di due nuovi genitori. La seconda strada è una scelta personale che il 69enne dovrà prendere. La prima, purtroppo, è legata alle condizioni della 49enne. Come affermato qualche ora dopo il dramma, l'uomo ha ripetuto più volte di essere terrorizzato dalla donna, motivo per cui non ha mai voluto ottenere l'affidamento della figlia. «È una cosa che non ho mai voluto fare - spiega il 69enne - perché lei era una minaccia. Negli ultimi due anni l'ho denunciata quattro volte per stalking. Me la sono ritrovata a casa e nell'attività dei miei figli. Si è spogliata di fronte al mio avvocato. Mi ha minacciato di morte. Mi ha tempestato di messaggi e telefonate a qualsiasi ora del giorno e della notte. Se avessi avuto la bambina con me non mi avrebbe mai lasciato in pace. E la situazione, anche adesso, non cambia». 

LE CONDIZIONI
Il quadro clinico della 49enne marocchina nel frattempo è peggiorato. Soltanto oggi si potrà capire se riuscirà a salvarsi o meno. Martedì i medici dell'ospedale di Padova avevano definito decisive le successive 48 ore. La prognosi è riservata e la donna è sotto sedazione: le lesioni causate dal fuoco sono profondissime e diffuse sul 50 per cento del corpo. Dovesse riprendersi, inizierà un lungo percorso riabilitativo, sia fisico che mentale. La donna infatti, come ha sottolineato la presidente del tribunale dei minori, Maria Teresa Rossi, «soffre di disturbi di personalità, è seguita da uno psichiatra e la stessa bambina è spaventata all'idea di stare con lei. Per questo motivo era stata affidata a una comunità protetta, e per lei era stata avviata una pratica per l'adozione». Un percorso a cui anche il 69enne spera possa essere sottoposta. «Quando una persona non sta bene può diventare pericolosa, non solo per sé ma anche per gli altri - sottolinea- Non si è mai del tutto certi di essere al sicuro. Ho ricevuto negli ultimi mesi una serie infinita di minacce da quella donna. Non siamo qui a giudicare nessuno, ma non posso non sostenere il fatto che andava curata prima che facesse quello che ha fatto».
L'ITER

Ora anche l'iter per l'adozione della bambina subirà uno stop. Almeno fino a quando non scadranno i trenta giorni di tempo concessi al padre di riottenere l'affidamento. L'intenzione sembra comunque quella di lasciarli scadere. Non lo ha dato ancora per certo, ma tra le sue parole filtra che sarebbe meglio per tutti, soprattutto per la piccola che da due anni vive in una comunità. «Forse è la soluzione giusta» conclude il 69enne. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino