L'azienda da 300 quintali di salsicce, salami e soppresse al giorno: 10 milioni di fatturato. E Giraldo svela il segreto della bontà della luganega veneta

L'azienda da 300 quintali di salsicce, salami e soppresse al giorno: 10 milioni di fatturato. E Giraldo svela il segreto della bontà della luganega veneta
«Si è passati dall'esigenza di nutrirsi a quella di stare insieme. Dal piatto pronto perché non si ha tempo, al piatto da preparare con cura. Questa...

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«Si è passati dall'esigenza di nutrirsi a quella di stare insieme. Dal piatto pronto perché non si ha tempo, al piatto da preparare con cura. Questa pandemia ci ha cambiato anche nel modo di stare a tavola». Il lockdown ha inciso sui costumi e sui consumi. I Giraldo se ne sono accorti presto, fanno salumi nella Bassa Padovana da 110 anni. Oggi l'azienda si chiama Italbontà e nello stabilimento di Codevigo produce 300 quintali al giorno di salsiccia, salame e soppressa. Dieci milioni di fatturato, vende in tutto il Nord Italia e anche in Europa. Al vertice dell'azienda c'è Gabriele Giraldo, padovano, 53 anni, due figli. 


Cosa è accaduto col lockdown?
«Noi del settore alimentare siamo stati graziati dall'epidemia, siamo sempre rimasti aperti. La nostra azienda ha registrato incrementi importanti, del 15% delle vendite, è cresciuta la richiesta di prodotto fresco. Ora abbiamo di fronte altre difficoltà immediate, Natale e Capodanno sono le stagioni importanti per la vendita, specie dei prodotti tipici della festività: si pensi al cotechino, siamo nel pieno della grossa produzione. Ma più che cambiamento dei consumi, c'è un ritorno alla tradizione. Negli ultimi anni c'era stata una grossa crescita dei prodotti già pronti, da scaldare e consumare, ora la gente ha più tempo e chi ha voglia e fantasia acquista un prodotto crudo e si ingegna a trasformarlo. Gli insaccati offrono la possibilità di pensare a nuovi tipi di ricette».


Avete oltre un secolo di vita, come siete cambiati?
«Lo stabilimento storico era in centro a Piove di Sacco ed era una macelleria con annesso laboratorio. Ha incominciato nonno Emilio aprendo uno spaccio di vendita di carne aiutato dalla zia Italia, la sorella. Era il 1910, abbiamo un certificato che lo attesta. Fu la zia a portare avanti la bottega perché l'anno dopo il nonno partì per la guerra di Libia e non era nemmeno rientrato che già lo avevano richiamato per la Grande Guerra, sul fronte tra il Carso e il Piave. Il nonno è morto nel 1972, gli era già subentrato mio padre Isidoro, nato nel 1927. Aveva imparato dalla zia e si era appassionato in maniera sfrenata al mestiere di salumiere e aveva incominciato presto a portare in giro i suoi prodotti nella Bassa Padovana, specie nelle sagre e nelle fiere. Lo chiamavano Gusa che era il soprannome della famiglia per distinguere i tanti Giraldo della zona, capita che mi chiedano ancora: Sito ti el fiolo de Doro Gusa?. Papà tornava a casa tardi la sera, provava e riprovava con la produzione, usciva di notte per controllare se l'asciugatura era buona; non c'erano le attrezzature e gli strumenti di oggi. A mio padre ho dedicato il nome del nostro prodotto di punta, il salame Isidoro, senza l'utilizzo di conservanti perché deve essere una garanzia».


Quando è entrato in fabbrica il giovane Gabriele?
«Ero un bambino vivace, da subito curioso di capire come la carne poteva diventare salame o salsiccia. Questo mi ha condizionato in seguito, non è stato così per gli altri fratelli: siamo in quattro, uno lavora nel mondo del cinema a Roma, è presidente dell'Anci, mia sorella Maria Lucia insegna. Finite le superiori mi sono dedicato alla fabbrica, già dopo il diploma ero alle prese con la lavorazione nel laboratorio di via Roma. A vent'anni, per la morte improvvisa di papà, ho dovuto prendere in mano tutto, con mio fratello Gianni. Il nuovo stabilimento era in fase di costruzione quando lui è scomparso, l'aveva progettato e pensato in ogni particolare. È stato durissimo partire e trovarsi da soli senza un punto di riferimento, diceva sempre: Fai un passo in base alla gamba, non strafare, ne ho visto tanti precipitare. È così che siamo in piedi da quasi quattro generazioni. Soprattutto mi diceva: Non abbandonare mai la passione, che credo sia quella che oggi manca, senza la passione l'aspetto economico non basta. È fatto di sacrifici questo lavoro, venire sabato e domenica a vedere se tutto procede bene, non è che quando chiudi a chiave è finita, lo stabilimento è vivo, respira 24 ore su 24, è come se fosse una persona a tutti gli effetti».


Che spinta ha dato alla fabbrica?
«Oggi sono la persona più anziana che c'è in azienda, questo a indicare il rinnovamento. Coinvolgo i collaboratori partendo dal fatto che siamo anche noi consumatori. Penso sempre: questo lo darei a mio figlio? Questa cosa mi è talmente dentro che mia moglie e miei figli ne sono quasi esausti: quando è il periodo dei cotechini li porto a casa per migliorarli, aggiungere, cambiare. Li costringo a mangiarli, non ne possono più. Mia figlia di nove anni è diventata la degustatrice ufficiale. Mio figlio Tomaso, studente alla scuola enogastronomica, ha un approccio più scolastico: Papà guarda che necessità ancora di dieci minuti di cottura. Letizia va alla ricerca del gusto di vaniglia, il gusto di un bambino è pulito, non subisce gli effetti del fumo e di altro. Un prodotto gli piace o non gli piace. Quanto al futuro, tutto è in direzione della ecosostenibilità, lo avevano capito in anticipo, utilizziamo da dieci anni energia da fonti rinnovabili. Lo stabilimento è strutturato per sfruttare meglio l'energia: dall'impianto fotovoltaico al recupero del calore. L'ultimo passaggio è l'imballaggio, la grande sfida, sostituire tutto ciò che è altamente inquinante con nuovi materiali che siano ecocompatibili. Compensiamo piantando alberi nella Valle dei Mille Campi, che è patrimonio dell'Unesco: lo faremo nel maggio 2021, Covid permettendo. Abbiamo imboccato una strada che sarà utile ai nostri figli».


Come si svolge nel Duemila la lavorazione di un prodotto così antico? 
«Stiamo attenti alla selezione delle materie prime per i salami, la soppressa veneta, salsicce e salamelle fresche. Solo suini che arrivano dalla Pianura Padana, allevati in particolare nelle province di Parma, Cremona, Reggio Emilia: il triangolo dei suini. Fare un prodotto senza conservanti passa attraverso una selezione molto accurata della materia prima e il controllo delle fasi: asciugatura, stagionatura; le analisi microbiologiche sono fondamentali. La nostra è stata una crescita continua, dal 1996 abbiamo quintuplicato la produzione. I nostri sono i prodotti tipici veneti.


Ma in che cosa questi prodotti sono differenti da quelli di altre regioni? 
«Per la salsiccia la differenza è nella base aromatica e nella percentuale di grasso. Cambia da territorio in territorio: nel Rodigino la gente preferisce l'aglio che solo pochi chilometri più in su nessuno vuole. Conta la percezione aromatica, più al Sud d'Italia trovi, per esempio, l'aromatizzazione al peperoncino, al finocchio; nel Napoletano con i friarielli. Quella nostra è una salsiccia più dolce. La costruzione della luganega è molto simile alla salsiccia, la parte aromatica è la stessa e il fatto che sia abbastanza neutra la rende gradita a tutti, anche a un bambino e va benissimo nella grigliata. Il salame veneto si differenzia perché viene insaccato in un budello naturale di bue, non di maiale. La soppressa è proprio il più tipico prodotto veneto. Quello che la rende diversa è la selezione delle materie prime e ogni azienda ha la sua identificazione aromatica, il suo mix di spezie, e questo è il segreto.


Soltanto salumi?


«La mia passione è dentro il lavoro, ma la montagna è il mio paradiso. Poi c'è la Sicilia, specie la zona di Montalbano. Ma al commissario piace il pesce, niente da fare nemmeno con Isidoro!».  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino