Lorenzo Tiepolo fu quel che si suol definire un figlio d'arte. Figlio del doge Jacopo, fu eletto alla massima carica dello Stato nel 1268 – trentanove anni dopo il padre...
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A Venezia vi sono ancora alcuni segni di quegli avvenimenti: di fianco alla Basilica di San Marco, sul lato della Piazzetta, si ergono due antiche colonne a pianta quadrangolare. Vi compaiono alcuni suggestivi monogrammi egizio-siriaci del V secolo. Provengono da Acri e furono collocati lì attorno al 1257, quale perenne ammonimento a coloro che avessero osato attraversare la strada ai veneziani, con particolare riferimento alla supremazia nei commerci con l’Oriente, a onta dei genovesi, eterni rivali. La vicenda storica, presto ammantata di leggenda, racconta come il console genovese Luca Grimaldi avesse ottenuto che nel porto di Acri i veneziani non potessero entrare nella chiesa di San Saba, considerata esclusiva per i genovesi. Naturalmente per i veneziani ciò era inammissibile, ma nonostante gli interventi presso il papa, la decisione rimase immutata, generando una nuova strisciante tensione tra le due potenze commerciali dell’epoca.
La scintilla fu innescata da una semplice rissa tra i marinai delle due Repubbliche, dopo la quale si passò direttamente alle armi. Filippo di Monfort, governatore di Tiro e di Acri, bandì pubblicamente i veneziani, che si videro arrivare in soccorso quattordici galee al comando di Lorenzo Tiepolo. Questi fece spezzare le catene messe dai genovesi per impedire l'accesso al porto e, penetrato all'interno, bruciò le navi avversarie. Riparatisi nel convento di San Saba – trasformato in fortilizio – i genovesi poco poterono contro quello spiegamento di forze: furono sconfitti e il convento ridotto in un cumulo di rovine.
I genovesi chiesero una tregua di due mesi, concessa dalla Serenissima in cambio di monete d’oro sonanti, e fecero partire quarantaquattro galee, al comando di Guglielmo Boccanegra, per vendicare l’offesa subita. Anche Venezia inviò soccorsi al Tiepolo: quindici galee e altre sedici piccole navi chiamate taredi.
Una sera il comandante veneziano venne a sapere che la flotta genovese era ormai giunta, e attendeva solo il momento favorevole per dare inizio alla battaglia. I veneziani si trovavano a dover affrontare un nemico di gran lunga superiore alle loro forze. Tiepolo non si perse d’animo: fece spargere voce di essere in attesa di un grosso rinforzo da Candia e fece costruire un gran numero di “panati”, semplici galleggianti di legno provvisti di lanterna.
Giunta la notte, la finta flotta fu disposta come se dovesse investire l’armata nemica arrivando dal largo; a quella vista, il comandante genovese decise sull’istante di dividere in due la sua flotta, aspettandosi un attacco su due fronti. Ma le navi spinte al largo trovarono solo i galleggianti, mentre i veneziani sbaragliarono il primo fronte di navigli genovesi, attaccando e sconfiggendo poi anche l’altra metà della flotta ligure.
Da allora si proclamò che le navi liguri che avessero dovuto entrare in quel porto, lo avrebbero fatto ammainando prima il vessillo di Genova, che di fatto dovette ridimensionare di molto la sua influenza sui mercati del Libano. E a perenne ricordo della vicenda, il Tiepolo portò a Venezia, tra i cimeli del bottino di guerra, le colonne quadrate di marmo che sorreggevano l’ingresso della chiesa di San Saba in Acri, interdetta ai veneziani.
Jacopo Tiepolo (fra parentesi fu durante il suo principato che Marco Polo partì per il Cathai col padre Nicolò e lo zio Matteo, tornando oltre un ventennio più tardi) morì nel 1275, e fu sepolto col padre Jacopo in un'arca esterna a sinistra dell'ingresso di San Zanipolo. Tra i suoi figli ebbe Giacomo, che sua volta fu padre di Bajamonte, il grande cospiratore della celebre rivolta del 1310. Da quel tentativo di rovesciamento del potere i Tiepolo uscirono talmente male da non poter dare mai più un doge alla Serenissima, per tutti i secoli – e non furono pochi – in cui ancora ebbe vita la Repubblica di Venezia. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino