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VENEZIA - «Venitemi a prendere». L'appello, struggente e disperato, è di Marco Zennaro, il 46enne imprenditore veneziano detenuto in Sudan in una cella del commissariato di Khartoum dal 1. aprile. Quelle semplici tre parole sono rimbalzate dalla bocca di Marco al suo avvocato, poi riportate ai famigliari e riferite a chi sta lavorando da giorni per riportarlo a casa: dal deputato Nicola Pellicani, primo a interessare il ministero degli Esteri, alla stessa Farnesina, all'ambasciatore italiano in Sudan Gianluigi Vassallo.
La questione è particolarmente delicata: il procuratore generale di Khartoum, infatti, aveva ordinato l'immediata scarcerazione dell'imprenditore dichiarando nulle le accuse a suo carico. Sembrava fatta, ma mentre stava uscendo dal commissariato i miliziani l'hanno ripreso e nuovamente arrestato. Ai famigliari non è stata data nessuna spiegazione, così come all'avvocato della famiglia, Ayman Khaled, e all'ambasciatore. Il legale dei Zennaro ieri ha cercato il procuratore generale per tutto il giorno, non riuscendo però a trovarlo né in tribunale né al telefono.
Sudan, è scontro tra bande: Zennaro liberato e poi riarrestato
LA SENTENZA
Eppure il procuratore era stato chiaro. « I membri della pubblica accusa di tutti i gradi hanno accettato di rifiutare (il procedimento penale, ndr) e di rilasciare l'accusato, annullare il caso e revocare il divieto di viaggio.
Dopo aver esaminato i fatti, è apparso chiaro che l'attore (il miliziano Abdallah Esa Yousif Ahamed che lo accusa e che lo sta tenendo rinchiuso in commissariato, ndr) non aveva la capacità di avviare questa causa contro l'imputato, in quanto non vi era alcuna interazione diretta tra l'attore e l'imputato, ed è stato inoltre riscontrato che l'imputato Zennaro non ha utilizzato mezzi fraudolenti».
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Il Gazzettino