Sudan, Marco in condizioni disumane, ecco la cella. «Temo per la vita di mio figlio»

Marco Zennaro bloccato in Sudan e la cella in cui si trova in condizioni disumane
VENEZIA - «Mio figlio si è lasciato andare, rifiuta il cibo che gli viene portato e temo veramente per la sua vita». Papà Cristiano non ne può...

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VENEZIA - «Mio figlio si è lasciato andare, rifiuta il cibo che gli viene portato e temo veramente per la sua vita». Papà Cristiano non ne può più di aspettare. Suo figlio, Marco Zennaro, l'imprenditore veneziano di 46 anni detenuto in una cella del commissariato di Kha'rtoum da quasi due mesi, è stanco e psicologicamente provato. E intanto anche ieri è saltata la firma del procuratore generale sul ricorso presentato dalla difesa di Marco. Il ricorso (l'equivalente del nostro riesame) che potrebbe permettergli di uscire di celle e di essere, semmai, sottoposto a altre misure cautelari. 


Una decisione che continua a essere rinviata da quasi due mesi, nel frattempo Marco rimane rinchiuso in una cella comune con altri 30 detenuti e con un solo servizio igienico, costretto a dormire per terra perché non esistono letti (come si vede nella foto accanto, ndr). L'ambasciatore italiano Gianluigi Vassallo si è interessato del caso fin dal primo giorno, ma le richieste e le pressioni sul governo sudanese finora concretamente non hanno portato a nulla: la procedura si è incagliata anche perché il Sudan è un paese in cui la burocrazia è lentissima, uscito da pochi mesi tra l'altro dalla lista nera degli Usa sugli Stati fiancheggiatori del terrorismo. «Faccio un appello alle istituzioni - continua Cristiano Zennaro - affinchè intervengano direttamente». 
Il ricorso non è l'unica speranza per Marco.

L'altro fronte è quello delle analisi sui prodotti della Zennaro Forniture Elettriche. Il 46enne aveva preso accordi con il mediatore Ayman Gallabi: l'imprenditore sudanese avrebbe acquistato da lui la fornitura per poi rivenderla alla Sedc, la società nazionale di fornitura elettrica. Gallabi (trovato morto venerdì in circostanze misteriose, annegato nel Nilo) era stato finanziato, per l'operazione, da un militare vicino al generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, leader delle milizie ribelli, Abdallah Esa Yousif Ahamed, l'uomo che ha emesso il mandato di arresto per Zennaro.

A far scattare l'accusa sarebbero stati dei parametri sballati rispetto a quelli dichiarati dall'azienda veneziana: solo che per certificarli i sudanesi si erano rivolti al laboratorio dell'azienda concorrente di Zennaro. In un paese provato dalla rivoluzione, in cui la corruzione ha raggiunto standard elevatissimi, è facile pensare quindi che quei valori possano essere stati alterati di proposito, per andare ad avvantaggiare chi potrebbe prendere lavoro e incarico al posto dell'azienda di Marco. «Mio figlio non è un criminale - continua il papà - Chiede solo la ripetizione delle prove in un laboratorio indipendente a proprie spese come previsto nelle specifiche tecniche della compagnia elettrica». Il motivo è semplice: se i parametri risultassero corretti, l'incriminazione verrebbe per forza a cadere. 
 

LA POLITICA

Il caso di Marco Zennaro ha scatenato la reazione del mondo della politica. Il deputato veneziano Nicola Pellicani per primo ha sollevato la questione, ancora settimane fa, con il presidente della commissione esteri Piero Fassini e con il ministro Luigi Di Maio. Il numero uno della Farnesina ha già sentito la ministra degli esteri sudanese, concordando un incontro su Zennaro durante la sua visita a Khartoum prevista per metà giugno. Anche il consigliere regionale di Fratelli D'Italia, Enoch Soranzo, ha scritto una lettera a Di Maio. «Ritengo doveroso uno scatto d'orgoglio da parte delle Istituzioni nazionali italiane: facciano sentire subito la loro voce, pretendendo l'immediato ritorno in Patria dell'imprenditore».
 

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Il Gazzettino