Resort di lusso sequestrato e ricomprato dalla mafia, Donà dalle Rose nei guai

Inchiesta sull’acquisto dell’hotel Torre Macauda in Sicilia, l'imprenditore veneziano accusato di concorso in riciclaggio

Blitz della Gdf
VENEZIA - Concorso in riciclaggio aggravato dall’aver agevolato le attività di un’associazione mafiosa. Questa l’accusa che la Direzione distrettuale...

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VENEZIA - Concorso in riciclaggio aggravato dall’aver agevolato le attività di un’associazione mafiosa. Questa l’accusa che la Direzione distrettuale antimafia di Palermo e la procura Antimafia del capoluogo siciliano contestano all’imprenditore veneziano Francesco Donà Dalle Rose, finito al centro dell’inchiesta sull’acquisto dell’hotel Torre Macauda in Sicilia che sarebbe stato comperato da una nota famiglia mafiosa.



LA PERQUISIZIONE
Ieri mattina la sua casa - palazzo Donà Dalle Rose - lo studio e la barca sono stati perquisiti dai militari del nucleo di Polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Palermo come svolta nell’indagine condotta dal procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Guido, e dai pm Piero Padova e Francesca Dessì. Le fiamme gialle  avevano mandato di sequestrare anche il cellulare e i supporti informatici dell’imprenditore, che verranno analizzati per cercare tracce che potrebbero essere utili alle indagini. 

LA COMPRAVENDITA E LE ACCUSE
Questa la tesi della procura palermitana: dopo alterne vicende giudiziarie durate anni la famiglia mafiosa di Sciacca (Agrigento) capeggiata dal boss detenuto Salvatore Di Gangi - fedelissimo del capomafia Totò Riina - sarebbe tornata in possesso del lussuoso complesso turistico Torre Macauda, in provincia di Agrigento, confiscato all’imprenditore Giuseppe Montalbano.
Secondo l’architettura disegnata dall’Antimafia, Di Gangi sarebbe riuscito a rimettere le mani su Torre Macauda attraverso una società da lui controllata, la Libertà Immobiliare, che gestisce il complesso turistico. Sempre stando all’accusa, la filiale di Unicredit che in una procedura esecutiva relativa all’albergo era titolare di un credito, aveva venduto alcuni lotti alla Libertà Immobiliare: secondo gli inquirenti però la società, grazie alla complicità di un funzionario di banca indagato per falso e ieri perquisito, avrebbe pagato solo parte degli 8 milioni corrispondenti al valore di acquisto dei lotti stessi. All’operazione avrebbe partecipato Delle Rose che avrebbe finanziato l’acquisto sapendo che dietro c’era Di Gangi.
In tutto, ieri mattina, sono stati notificati otto avvisi di garanzia: oltre a quello messo nelle mani di Francesco Donà Dalle Rose, sono stati firmati capi d’accusa nei confronti dello stesso boss Di Gangi, del figlio Alessandro; dei due professionisti, Maurizio Lupo e Luigi Vantaggiato; di Anna Maria Lo Muzio; del funzionario di banca Unicredit Vincenzo Coglitore e di Francesco Corvelli. Residenze e posti di lavoro degli indagati sono stati perquisiti, così come è stata perquisita anche la filiale dell’Unicredit coinvolta nell’indagine.
 

LA DIFESA
«Purtroppo siamo vittime di un grande equivoco e purtroppo è mio marito la persona indicata» spiegava ieri la moglie di Donà Dalle Rose, Chiara Donà Dalle Rose. 


«I difensori del dottor Francesco Donà dalle Rose si dichiarano pronti a dimostrare, attraverso un’attività di indagine difensiva, l’estraneità del loro assistito alle ipotesi formulate dalla procura di Palermo, oggetto di indagine - recita il comunicato firmato dal collegio difensivo dell’imprenditore, composto dagli avvocati Marcello Consiglio, Vincenzo Lo Re e Raffaele Bonsignore - La famiglia si chiude nel più stretto riserbo confidando nell’operato della magistratura» è la nota conclusiva. Nei prossimi giorni gli avvocati leggeranno le carte dell’indagine siciliana, un’indagine ancora non chiusa - spiegano dalla finanza di Palermo - ma che ieri è venuta allo scoperto.

 

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Il Gazzettino