Gradinata est dell'Appiani, l'abbattimento. Emilio Da Re, il capitano delle 300 partite: ​«Giocare lì era il massimo, pubblico incredibile»

Emilio Da Re con la maglia del Padova
PADOVA - Emilio Da Re, ha giocato quasi trecento partite dal 1981 al 1989 al Padova con tanto di fascia di capitano al braccio per cinque stagioni ottenendo due promozioni in...

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PADOVA - Emilio Da Re, ha giocato quasi trecento partite dal 1981 al 1989 al Padova con tanto di fascia di capitano al braccio per cinque stagioni ottenendo due promozioni in serie B. 

Che effetto le fa la notizia della demolizione della gradinata nord dell’Appiani?
«Eliminandola viene a mancare un pezzo di storia e certamente l’Appiani non sarà più com’è nei nostri ricordi. Però la nota positiva è che il campo sia ancora lì e che l’Appiani esista ancora. Già la vecchia tribuna che dà su via Carducci è stata rimessa a posto qualche anno fa e rende l’idea di quello che poteva essere il vecchio stadio, con le tribune a meno di due metri dal campo tanto che quando andavi a battere le rimesse laterali potevi guardare negli occhi con i tifosi. Comunque un po’ ero già preparato alla notizia della demolizione della gradinata perché se ne parlava da qualche tempo». 

Quando entravate in campo uscendo dal sottopassaggio il primo impatto che avevate era proprio la gradinata nord. Quale era il primo pensiero vedendo che era gremita di gente?
«Da giocatore del Padova soprattutto quando le cose andavano bene sapevi di avere un grande sostegno per la partita che ti apprestavi ad affrontare e dall’altra parte speravi che potesse incutere timore alla formazione avversaria». 

Si può dire che era il vostro dodicesimo uomo in campo?
«Quando lottavi per la promozione e quando più in generale le cose andavano bene per la squadra era senz’altro un aiuto. Bisogna anche dire che nei campionati meno positivi il pubblico si sentiva ugualmente e in quei frangenti poteva condizionarti in maniera non positiva pertanto c’erano entrambe le facce della medaglia. Comunque, eccezione fatta per un’annata, nel periodo in cui ho giocato con i biancoscudati il pubblico era sempre pronto ad aiutarci, ad essere al nostro fianco. Giocare in uno stadio come l’Appiani con la gente attaccata al campo è una cosa che chi l’ha vissuta se la ricorda per tutta la vita. Anche rispetto a giocare in stadi più famosi, era tutta un’altra cosa».

Anche perché ai suoi tempi era pieno. Anni d’oro...
«Anche negli anni successivi ai miei con la squadra impegnata nella promozione in serie A dev’essere stato il massimo giocare in uno stadio del genere, come lo è stato ai miei tempi riportare il biancoscudo in B dopo tanti anni. A parte l’era di Rocco, ho avuto la fortuna di vivere gli anni più belli nei quali c’è stata la rinascita del Padova e vedere quindici-ventimila persone allo stadio era la normalità. Mi riferisco al periodo che va dal 1979 sino alla promozione nella massima serie che è concisa con la fine dell’attività all’Appiani».

C’è qualche aneddoto che ricorda con piacere legato alla gradinata nord e più in generale allo stadio? 


«Più che le due feste per la promozione in B, ricordo due episodi in particolare. Nel mio primo anno al Padova abbiamo vinto il derby con il Vicenza per 1-0 grazie a un mio gol di testa ed è stata una delle reti più belle che ho segnato nella mia carriera. Dato che si trattava di un derby c’è stata un’esplosione di gioia dei tifosi ancora più forte che in altre partite. Poi non potrò mai dimenticare nel campionato di B del 1984 il mio rientro in campo all’Appiani dopo che ero rimasto fuori per tre mesi a causa di un infortunio: sono entrato negli ultimi minuti della partita e sentire tutto lo stadio, principalmente la gradinata nord, scandire per qualche istante il mio nome è una situazione che ancora oggi mi fa venire i brividi. E’ stata davvero un’emozione molto forte». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino