«Volevamo trucidare Maniero, ma noi siamo pentiti, lui no»

«Volevamo trucidare Maniero, ma noi siamo pentiti, lui no»
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VENEZIA -  «Siamo andati avanti per 15 anni a programmare l'assassinio di Felice Maniero. L'infame. Il traditore. Ogni giorno. Cento volte al giorno. Non abbiamo parlato d'altro per 15 anni. Era diventata un'ossessione. Che ci trovassimo in un'aula di Tribunale o che fossimo in cella, l'argomento era sempre e solo quello. Dei modi per ucciderlo. Scartavamo ad uno ad uno i metodi rapidi, quelli che portavano alla morte repentina. Niente pistole, niente coltelli. No, lui doveva soffrire come aveva fatto soffrire noi quando ci aveva traditi. Doveva essere torturato a morte. Abbiamo pensato anche ai familiari, di torturarli davanti a lui, di farli a pezzetti sotto i suoi occhi. Insomma, non volevamo fare un omicidio, ma una mattanza. Era diventata veramente un'ossessione». Questo e tanto altro racconta Giampaolo Manca nel libro che ha appena finito di scrivere, All'inferno e ritorno, che è la sua autobiografia, ma anche la storia della vecchia mala veneziana, prima e con Felice Maniero.


Giampaolo Manca, 64 anni, ex rapinatore e omicida, è stato condannato all'ergastolo per il triplice omicidio dei fratelli Rizzi e di Padovan. Un omicidio strategico chiesto soprattutto dalla banda dei mestrini di cui Manca faceva parte, pur essendo, di suo, abbastanza indipendente. La banda dei mestrini è il gruppo di fuoco più feroce e più pericoloso della gang di Felice Maniero e se adesso Maniero rilascia interviste preoccupate nelle quali avverte che i mestrini sono ancora pericolosi, è perché i mestrini 3 su 4 sono usciti di galera e lui teme che vogliano vendicarsi. Insomma, per farla breve, Maniero ha paura. E si cautela cercando di mettere in difficoltà i mestrini e attribuendo loro non solo affiliazioni con camorra e ndrangheta, ma anche una compattezza che non c'è più.
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Il Gazzettino