Francesco Vidotto torna in libreria ed è una Meraviglia. Non è una battuta, ma il titolo del suo ultimo lavoro per i tipi di Mondadori: un nuovo romanzo dello...
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Dopo "Fabro" un nuovo libro per Mondadori Meraviglia, una storia impegnativa che per la prima volta non vede la montagna totalmente protagonista ma la pianura, cosa succede?
«Con questa storia ho voluto raccontare un altro genere di montagna: una montagna che sprofonda le radici nell'adolescenza che è un periodo dai fortissimi venti sotterranei dove le emozioni vibrano incandescenti e c'è l'urgenza di un contatto dell'anima. Ho voluto anche allontanarmi dalle Dolomiti perché una vita da scrittore non può essere circoscritta ad un luogo soltanto, se no rischi di essere ripetitivo. Di condannare i personaggi alla mediocrità».
Il liceo a Conegliano, i nonni a Tai di Cadore, l'amore per la famiglia, per le Dolomiti, per il raccontare attraverso la scrittura, quanto di autobiografico c'è in questo libro?
«Meraviglia è il ritratto di un'anima: la mia. Il romanzo avrebbe dovuto chiamarsi Elia e raccontare del nipote di Oceano ma mentre lo scrivevo ho realizzato che stavo raccontando di me e ho deciso di seguire l'odore che stavo fiutando».
E' vero che hai abbandonato il lavoro di manager d'azienda e sei diventato scrittore grazie a Pupi Avati e Mauro Corona?
«Ho quasi abbandonato l'azienda tenendo un solo cliente perché, non avendo ancora scritto "Il nome della rosa", dedicandomi solo alla narrativa, sarei costretto a pubblicare un libro all'anno per sopravvivere. Sono stati Pupi Avati e Mauro Corona, in momenti differenti della mia vita, a darmi la benzina giusta. A prendermi sul serio. Sono due amici e artisti ai quali sono grato».
Il Gazzettino