Una frana non è solo, geologicamente, lo spostamento in basso di materiale roccioso. Può essere un evento che taglia un pezzo di storia. Che elide racconti di uomini...
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LA VARIANTE
«Si trattava di una variante dritta con rientro, di difficoltà 6a+, su roccia friabile e poco chiodata», spiega Dall’Agnola. Il dispiacere è nella voce, anche perchè la via che la frana si è mangiata portava un nome non banale: «Tissi ha rappresentato la fase dell’alpinismo eroico, segnando la storia». Dopo sono seguite le fasi del tecnicismo degli anni Sessanta, fino alle super vie del 2000. Comunque l’addio non suona solo per la “classica” Tissi. A confondersi tra i detriti – o comunque danneggiati - ci sono, secondo Manrico, il Gran diedro Biasin, e di conseguenza la variante Schubert, una via degli altoatesini e i primi tiri della Via della Libertà, «mentre il primo tiro di Rondò Veneziano (Heinz-Astner) è giusto al margine del distacco e potrebbe non essere stato coinvolto».
LA STORIA
La Via Tissi, alla Torre Venezia, è annoverata tra le più famose salite su roccia delle Dolomiti. Ad aprire la via fu Attilio Tissi con Giovanni Andrich e Attilio Bortoli il 20 agosto 1933. Al tempo si trattò di una vera impresa alpinistica, viste le difficoltà che erano valutate, allora, come IV, V grado con tratti di VI-. A fare testo dell’impegno richiesto basti pensare che per la ripetizione bisognò attendere ben 17 anni: nel 1950 ad arrivare in cima furono Gino Soldà con Yvonne Syda. Intanto migliorava il tipo di attrezzatura su cui uno scalatore poteva contare: le ripetizioni si susseguono, visto che panorama e ambiente sono di un fascino incredibile, ed attirano: si parte dal rifugio Vazzoler. Quindi su, alla Torre Venezia per i 500 metri di sviluppo della via. La prima in solitaria porta la firma di Armando Aste. In tanti, poi, sulla scia del “free-solo”, slegati e in solitaria. Esperienza questa che, per nove volte, ha provato Dell’Agnola. Nel 1989 ci impiegò 52 minuti.
LA VAL CORPASSA
Dell’Agnola non ha incontrato nessuno ieri. A parte i gestori del rifugio “Vazzoler”, saliti per fare il punto della situazione. Lungo il tragitto, in Val Corpassa, ancora zone con i resti degli schianti della tempesta Vaia: «È stata una devastazione. Vogliamo volerne vedere il lato buono? Ora, con meno vegetazione, si distingue bene la Torre Babele, il Bancon, l’Elefante». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino