La rivolta degli albergatori: «Anche noi in zona rossa, penalizzati dalla fascia gialla»

Piazza San Marco
VENEZIA - Il Veneto giallo è certamente indice di un'elevata affidabilità delle sue strutture sanitarie e un vantaggio per i cittadini che possono continuare a...

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VENEZIA - Il Veneto giallo è certamente indice di un'elevata affidabilità delle sue strutture sanitarie e un vantaggio per i cittadini che possono continuare a muoversi, pur tra mille restrizioni, con una libertà negata ai vicini. C'è chi però dalla fascia gialla sta avendo solo danni. È il caso degli albergatori di Venezia, i quali soffrono come se fossero in zona rossa (dove c'è la chiusura per decreto), ma a differenza degli alberghi con sede dove è tutto chiuso non possono ricevere nessun indennizzo oltre a quanto già previsto dal precedente decreto ristori. Nelle attuali zone arancioni e rosse, invece, per gli alberghi è previsto un contributo maggiorato del 40 per cento rispetto a quanto già stabilito per tutti. 


Il presidente dell'Associazione veneziana albergatori, Vittorio Bonacini, non ci sta e chiede al Governo che le attività della filiera turistica delle città d'arte siano svincolate dalla distinzione tra zone rosse, arancioni e gialle e siano considerate rosse dal punto di vista economico. A Venezia, infatti, non si batte chiodo analogamente ad altre località turistiche che si trovano in zona rossa e gli alberghi sono quasi tutti chiusi per mancanza di clienti. Per questo, Venezia si fa portavoce anche per le imponenti realtà alberghiere di Roma e Firenze affinché ci sia un riconoscimento di questo status speciale.
LA RICHIESTA

L'occasione per parlarne è stata una riunione del direttivo alla Ava alla quale era stato invitato anche il sottosegretario all'Economia, Pier Paolo Baretta.
Nel suo intervento di saluto, Baretta aveva fatto il punto sulle misure e i ristori che potranno essere inseriti nelle due prossime leggi di bilancio. Poi ha spiegato che finora la procedura adottata prevede di adeguare i ristori economici e finanziari alle scelte di carattere sanitario, privilegiando quindi le zone rosse e le attività chiuse per decreto con la promessa, in una seconda fase, di affrontare le chiusure parziali e le attività che hanno avuto ricadute indirette. 
CITTÀ D'ARTE ROSSE

«A nostro modo di vedere dovrebbe essere riservato un capitolo a parte alle grandi città d'arte ha sottolineato Bonacini -: Venezia, Roma e Firenze in questa pandemia sono quelle che hanno sofferto di più sotto gli aspetti del lavoro, operativo e degli arrivi, a differenza di località di mare e montagna che sono riuscite in parte a risollevarsi nel corso dell'estate. Vogliamo quindi far giungere al Governo il messaggio che, pur essendo in zona gialla, qui a Venezia non si lavora, al pari delle attività della zona rossa. Le realtà di mercato, in queste condizioni, non sono diverse e i nostri soci soffrono la mancanza di ospiti tanto quanto gli albergatori di altre regioni che sono stati costretti a chiudere. Bisognerebbe - ha concluso - estendere alle città d'arte le facilitazioni e gli aiuti concessi agli alberghi che ricadono nelle zone rosse o arancioni».
LA PROMESSA

Baretta si è fatto carico della richiesta, con l'intenzione di tenerla in considerazione in vista dei prossimi provvedimenti: «Non ci sfugge la delicatezza e la contraddittorietà di questa fase ha risposto Baretta - e sappiamo che il vostro, così come il settore degli eventi, è un caso emblematico. Gli alberghi nella zona rossa sono obbligati a chiudere ma è evidente che anche chi non chiude sta vivendo una situazione di sostanziale immobilismo e che le ricadute sono le stesse. Stiamo affrontando questo tema per capire come aiutare queste categorie. Una soluzione potrebbe essere proprio quella di incrociare le due criticità e stabilire, per esempio, che per le città d'arte non esista una distinzione la zona rossa e la zona gialla. Questa- ha concluso il sottosegretario - potrebbe essere la chiave per trovare una via d'uscita, un criterio che sta in piedi e ci permetterebbe di ristorare le vostre attività che non riescono comunque a lavorare».
Michele Fullin
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il Gazzettino