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A livello nazionale, secondo lo studio di Confesercenti, l’anno scorso ogni ora sono spariti due negozi. È tanto, ma è un dato grezzo. Quello che più spaventa, perché si tratta di un’analisi più dettagliata, è il quadro regionale del momento che sta vivendo il commercio. Il Friuli Venezia Giulia, infatti, è sul podio del Paese. Ma non c’è nulla da festeggiare, perché si tratta di una di quelle classifiche da leggere “al contrario”. Ed essere tra i primi tre significa far parte del gruppo dei peggiori.
L’ANALISI
«Creare un’impresa? Nel commercio al dettaglio è un sogno sempre più difficile da realizzare», è il laconico incipit della Confesercenti nella presentazione della congiuntura del settore commerciale. Sul bilancio generale, infatti, pesano non tanto le chiusure - che pur ci sono - quanto le mancate aperture di nuovi esercizi commerciali.
IL DETTAGLIO
Tra chiusure e mancate aperture, il numero di negozi di vicinato al servizio della comunità è calato, rispetto al 2012, del 14,3% circa. Nelle province autonome di Trento e Bolzano, ormai, ci sono solo 6,9 imprese del commercio ogni mille abitanti; in Friuli-Venezia Giulia 7,8, e in Lombardia 8,4. Nelle regioni del Sud il tessuto del commercio resiste un po’ di più, in particolare in Campania (19,7 imprese ogni mille abitanti), Calabria (18,7) e Sicilia e Puglia (entrambe con 15,1). E anche in questo caso la nostra regione è quella che presenta il secondo peggior dato di tutta Italia. «La ripartenza post-pandemia non è riuscita a infondere nuovo slancio alle piccole imprese del commercio al dettaglio. Aprire una nuova attività di commercio di vicinato, in un mercato sempre più dominato da grandi gruppi e giganti dell’online, è sempre più difficile: ed i neo-imprenditori, semplicemente, rinunciano, come evidente dal calo delle nuove aperture, inferiore addirittura all’anno della pandemia», ha spiegato Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti. «A rischio c’è il pluralismo del sistema distributivo e il servizio ai cittadini: proprio l’anno della pandemia ha dimostrato il valore della rete dei piccoli negozi – dagli alimentari alle edicole – per la popolazione. Occorre aiutare le piccole superfici di vendita a inserirsi nel mercato e a restarci. Innanzitutto, puntando di più sulle politiche attive, a partire dalla formazione imprenditoriale e dal tutoraggio delle start-up da parte delle associazioni di categoria. Ma servirebbe una spinta anche sul piano fiscale, con un regime agevolato per le attività di vicinato». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino