Claudia e il marito omicida, l'incontro al centro per i disturbi mentali

Gianfranco Duini e la moglie Claudia
Era stato da poco aperto il centro diurno di Favaro Veneto quando, tra centinaia di ragazzi, era arrivato Gianfranco Duini, allora ventenne. E poco dopo, lì aveva...

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Era stato da poco aperto il centro diurno di Favaro Veneto quando, tra centinaia di ragazzi, era arrivato Gianfranco Duini, allora ventenne. E poco dopo, lì aveva conosciuto Claudia Bortolozzo, un po' più grande di lui, che nel giro di qualche anno era diventata la sua fidanzata. Dall'associazione Lo Specchio, formata nel 1998 per le persone con disturbi mentali, ricordano l'inizio della loro storia. «Lui era un ragazzino sempre allegro e tranquillo - spiega Attilio Baldan, il presidente - e anche lei era sempre sorridente». Partecipavano a tutte le attività: lui, in particolare, suonava e faceva parte della band del centro. Ed erano sempre presenti alle gite, i corsi e le attività sportive.

 

L'associazione, di cui facevano parte i genitori di entrambi, aveva sede alla Rodari e spesso i ragazzi passavano a salutare e a chiacchierare. «Dopo qualche anno avevano iniziato a fare vita autonoma - aggiunge Baldan -. Si erano sposati ed erano andati a vivere insieme. Da quel momento non sono più venuti e li abbiamo visti raramente».


L'associazione, che da vent'anni si batte per migliorare l'assistenza verso le persone affette da malattia mentale, di fronte a casi come questo non nega che l'equilibrio, in alcune situazioni, sia precario e vada mantenuto con un'assistenza costante. Casi come quello della ragazza di Mirano, che ha ucciso i genitori prima di togliersi la vita, possono essere il risultato di momenti di profonda solitudine del malato o delle loro famiglie. «Non conosciamo il caso di Mirano e non si può generalizzare - chiarisce il presidente -. Spesso però, quando succedono fatti gravi come questi, leggiamo che le persone sono seguite dai servizi: in realtà non possiamo realmente sapere a che livello fosse l'assistenza, se fosse continuativa. Capita che un malato, convinto di essere guarito, non si faccia più seguire e smetta di prendere i farmaci. E una persona schizofrenica, per fare un esempio, che smette di curarsi può diventare pericolosa prima di tutto per se stessa. Per strada, in un momento di panico, percepisce come aggressivo un comportamento normale e si difende. Lo Specchio si fa carico quotidianamente delle paure delle famiglie: «Riceviamo tante chiamate per situazioni al limite. Non c'è una soluzione uguale per tutti e, come ha sempre detto Basaglia, si cura la persona e non la malattia. Il farmaco, per esempio, è fondamentale ma deve essere il mezzo e non il fine». Per questo Lo Specchio insiste sull'importanza di una presa in cura completa, che comprenda anche la socializzazione».
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Il Gazzettino