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BELLUNO - Ultimi assalti alla montagna. Su gomma, però. In quota impazzano le bici. Quelle elettriche: sulle strade e i sentieri dolomitici un vero e proprio serpentone di amanti delle due ruote elettrificate. Negli ultimi giorni, ancor più del solito: con un meteo così favorevole, impossibile stupirsi che molti turisti abbiano deciso di regalarsi un ultimo giro in montagna. A stupire, piuttosto, è che la bici elettrica stia diventando la nuova frontiera della mobilità in montagna. Pericolosa, purtroppo: in sella, il più delle volte, pseudo-campioni che si riscoprono d'improvviso atleti iridati. Il grido d'allarme arriva dritto dal Soccorso Alpino: l'e-bike è ormai una delle cause d'incidente più frequente. C'era una volta il turista incauto, insomma. Ora veste i panni del Pantani d'alta quota. Ma elettrificato.
TUTTI IN SELLA
Il desiderio di mobilità sostenibile qui c'entra davvero poco: la bici elettrica sta diventando, piuttosto, una moda. Basta guardare i dati sulla crescita del mercato delle due ruote per convincersi. Tutti vogliono una bici elettrica, insomma. E non ci sarebbe nulla di male, se non ci fosse anche il rovescio della medaglia: un pubblico così variegato e ampio da includere, all'improvviso, anche chi una bici, nella propria vita, non l'ha mai usata nemmeno per muoversi sotto casa.
L'ESPERTO
«È incredibile: negli ultimi due anni la bici elettrica è diventata la seconda causa di incidente in montagna. Fino a qualche anno fa era solo all'undicesimo posto». A spiegare la gravità del fenomeno è Fabio Rufus Bristot, della direzione nazionale del Soccorso Alpino: «In tutta Italia dieci anni fa gli incidenti in sella a una bici, in montagna, sono stati 282. L'anno scorso e quest'anno risultano invece più che triplicati. Ad oggi, nel 2022, sono oltre 800. Dai 233 feriti del 2012 siamo ai quasi 670 di quest'anno. I morti, quasi sei volte tanto: in dieci mesi sono già 17». Tra le Dolomiti bellunesi, quest'anno, 47 soccorsi. Velocità, difficoltà di controllare il mezzo in discesa, scelta di percorsi azzardati tra le cause. Casi a volte clamorosi, come nell'ultimo intervento di Bristot, con il gruppo della direzione nazionale Cnsas: un ciclista schiantatosi contro un albero per evitare un salto nel vuoto di oltre 15 metri. Il problema non è tanto la bici, quanto chi sale in sella: l'analisi di Bristot punta il dito contro l'impreparazione di chi sportivo non è.
LE ABITUDINI
«Stanno aumentando e stanno cambiando le categorie di chi va in montagna. È ormai un fenomeno di massa: bene per il Pil, ma non certo per noi del Soccorso Alpino. Con un pubblico più ampio, si è modificato il livello di preparazione: nessuna conoscenza dei pericoli; difficoltà a reggere situazioni di stress per eventi banali come l'arrivo della pioggia o la perdita di un sentiero in zone di alto passaggio». Tradotto: se si abbassa l'asticella nella preparazione dell'escursionista, si alza per i soccorritori. «Manca la cultura dell'andare in montagna. Ormai si chiama il 118 anche per stanchezza, quando basterebbe riposare un po'. Di recente, abbiamo aiutato una coppia: la signora aveva rimediato una distorsione alla caviglia a 20 metri dall'auto. Invece viviamo una fase di deresponsabilizzazione - prosegue Rufus -. Ci si spinge oltre perché tanto, alla fine, qualcuno ti viene comunque a prendere». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino