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Un trionfo che vale doppio, se non triplo: Bebe Vio ha vinto l’oro nel fioretto individuale alle Paralimpiadi di Tokyo, bissando il trionfo di Rio 2016, liquidando ancora una volta la cinese Jingjing Zhou. Ma Bebe - come racconta a La Stampa - ha rischiato di non esserci proprio, alle Paralimpiadi: «Lo scorso 4 aprile mi sono dovuta operare, ho avuto un'infezione da stafilococco che è andata molto peggio del dovuto». La prima diagnosi è stata atroce: «Amputazione entro due settimane dell’arto sinistro, e morte entro poco».
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Bebe Vio, dall'infezione all'oro: il racconto
Ma grazie ai medici (e alla volontà incrollabile di Bebe), il miracolo s’è compiuto: «Il dottor Accetta è stato bravissimo, come tutto lo staff. Questa medaglia non è mia, è di tutti loro». Le Paralimpiadi parevano lo stesso una chimera: «Abbiamo preparato tutto in due mesi, io a Tokyo non dovevo esserci. Non so come abbiano fatto il mio fisioterapista Mauro Pierobon e il preparatore atletico delle Fiamme Oro Giuseppe Cerqua a fare questa magia».
La rinuncia alla prova di sciabola
Lo strascico dell’infezione e dell’indebolimento del braccio le ha impedito di allenarsi al meglio con la sciabola, arma più pesante dell’amato fioretto, tanto da spingerla a rinunciare a tirare in questa specialità a Tokyo. «Questa medaglia d'oro non suona come quella di Rio, la prima cosa che ho fatto è stato agitarla per sentire se aveva i sonagli all’interno.
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Il Gazzettino