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CAERANO - «Era come se ci fosse stata una trappola in acqua. Un mostro che ti prendeva per i piedi e ti trascinava verso il fondo. Ho visto la morte in faccia». Amor Ben Azaiez, il migliore amico di Mohsen Lammouchi, il 54enne tunisino annegato al Piave venerdì sera, 2 luglio, vicino alla cementeria Rossi di Pederobba dopo essersi tuffato per salvare la figlia, descrive così il vortice fatale che non ha dato scampo all’uomo spinto dall’istinto paterno. Parla di una buca profonda e nascosta, di cui mai avrebbe sospettato l’esistenza visto che l’acqua sembrava non superare i 70 centimetri e che conosceva bene quel posto. Forse non abbastanza da prevedere le improvvise correnti.
MOMENTI TERRIBILI
Amor e Mohsen, amici da una vita, si trovavano vicino alle ragazzine mentre giocavano a pochi passi dalla riva. «La figlia tredicenne di Mohsen, poi, è stata come risucchiata dal fiume.
IL DOLORE
Ieri mattina, davanti alla casa di Lammouchi in via san Marco a Caerano, non c’erano solo la moglie Saidi che parlava al telefono con il consolato tunisino per riportare la salma in patria ma anche, il figlio 17enne e la figlia 13enne ancora sotto choc, la famiglia Ben Azaiez e un’altra quindicina di persone tra parenti e amici. Anche il sindaco di Caerano, Gianni Precoma, ha intenzione di recarsi dalla famiglia tunisina rimasta orfana del padre per porgere le più sentite condoglianze. Le polemiche, però non mancano. «Non è il primo che muore catturato dalla corrente improvvisa del Piave e non sarà l’ultimo - conclude l’amico Amor - Bisogna fare qualcosa: non voglio che altri corrano questo rischio». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino