Ogni mese l'Organizzazione mondiale della sanità riceve 7 mila segnalazioni di potenziali nuove epidemie che stanno insorgendo in qualche parte del pianeta. Per 300 di...
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Ma da cosa dipende la moltiplicazione delle epidemie? Va chiarito innanzitutto che se oggi ci si ammala con maggiore frequenza non è perché siano aumentati i virus, che ci sono sempre stati. L'universo delle particelle virali è uno spazio sconfinato e in larga parte sconosciuto, è stato stimato che nel mondo esista un milione e 700 mila virus non identificati dagli scienziati ma capaci di colpire l'uomo. Questa popolazione di creature invisibili vive trasferendosi da un animale all'altro, e qualche volta alcuni di questi minuscoli parassiti riescono a raggiungere il corpo umano. È il meccanismo noto come “spillover”, ovvero la “zoonosi”, il travaso di una malattia dall'animale all'uomo, concetto ormai universalmente noto e raccontato dal divulgatore scientifico David Quammen nel libro dal titolo, appunto, “Spillover”. Proprio nella maggiore facilità con cui ora riescono ad avvenire questi salti di specie viene individuata una delle cause dell'aumento di epidemie nel mondo.
https://public.flourish.studio/resources/embed.js Il principale acceleratore delle zoonosi sarebbe - sostengono i ricercatori - la deforestazione: nei paesi dell'Africa e dell'Asia dove le popolazioni locali abbattono gli alberi per guadagnare terreno coltivabile o edificabile, molti animali si ritrovano di colpo a contatto con l'uomo o con i suoi allevamenti, il che favorisce gli scambi di microrganismi da una specie all'altra. L'esempio classico è quello del Nipah, virus che ci è arrivato dai pipistrelli della Malesia rimasti senza alberi che andavano a mangiare gli stessi frutti di cui si nutrivano i maiali delle fattorie. E più o meno lo stesso è accaduto in Africa centrale con l'Ebola.
All'incremento delle zoonosi si aggiunge poi un altro acceleratore di epidemie tipico della modernità: la facilità di spostamento grazie ai trasporti globalizzati. Nella società antica un microbo viaggiava molto lentamente perché lenti erano i movimenti degli esseri umani. Nel Trecento la peste ci mise un anno per passare dall'Italia meridionale alla Svizzera, e poi un altro anno per raggiungere il Nord Europa e la Gran Bretagna; un uomo del ventunesimo secolo invece può partire da un remoto villaggio della Cina sud orientale e in un giorno può arrivare in una metropoli europea o americana portando nel bagaglio del proprio corpo un eccezionale carico di batteri e virioni che così si ritrovano catapultati dall'altra parte del pianeta in appena 24 ore. Ed ecco il terzo fattore che incentiva la diffusione delle epidemie: gli uomini di oggi vivono molto più vicini gli uni agli altri, pochi risiedono isolati nelle abitazioni di campagna, tantissimi si accalcano nelle grandi città, con un altissimo numero di contatti fisici quotidiani. Più contatti significa più trasmissioni di particelle, più scambi di Rna, più mutazioni. La rapidità di viaggio e la vita in comunità sono, ovviamente, due bellissimi aspetti della modernità a cui non avrebbe senso rinunciare, ma al tempo stesso sono due alleati dei virus, e di questo l'umanità deve tenere conto.
Il progresso sta involontariamente aiutando le malattie virali, ma per fortuna ci offre anche gli strumenti per stroncarle sul nascere. La scienza e la tecnologia consentono di individuare in fretta l'insorgere di una nuova minaccia, di tracciare la presenza dei virus, di prevederne la possibile espansione elaborando modelli matematici e simulazioni computerizzate, di bloccarne la diffusione con immediate misure di contenimento, di creare in tempi relativamente brevi terapie e vaccini. Ma per fare tutto ciò le autorità sanitarie dei singoli paesi dovrebbero organizzarsi con adeguate strutture, mobilitando personale specializzato, e soprattutto allestendo un sistema di collaborazione internazionale ben più efficiente di quello che si è visto finora con l'emergenza del coronavirus.
Il Gazzettino