Il decreto legge sul taglio del cuneo fiscale prende una forma più definitiva dopo l’approvazione da parte del consiglio dei ministri, in linea con la volontà...
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Taglio tasse, possibili ancora modifiche al decreto
È possibile che il decreto subisca ulteriori aggiustamenti prima di approdare in Gazzetta ufficiale e che il tracciato verso la riforma complessiva (da mettere nero su bianco entro aaprile) comprenda sia un riassetto delle erogazioni di tipo sociale sia di aliquote e detrazioni in senso stretto. Quel che è certo è che nella versione attuale del provvedimento solo una parte dei 3 miliardi impegnati quest’anno andranno da un punto di vista statistico a riduzione della pressione fiscale, perché Eurostat classifica il bonus in cifra fissa da 100 euro al mese (come i precedenti 80 in vigore dal 2014) come maggiore spesa e non come minore entrata.LEGGI ANCHE --> Irpef, riforma da aprile: ipotesi alleggerimento delle prime due aliquote
Al di là di quello che succederà il prossimo anno, l’impianto messo a punto per il 2020 presenta comunque qualche criticità da gestire anche sul piano pratico. Il decreto prevede infatti che i sostituti d’imposta (quindi i datori di lavoro) verifichino se il bonus e le detrazioni spettano per il periodo dal primo luglio in poi. Se al momento del conguaglio di fine anno, sulla base del reddito imponibile definitivo, il diritto viene meno, allora le somme dovranno essere recuperate, eventualmente in 4 rate mensili se superano l’importo di 60 euro. Nell’ambito di questa verifica i datori di lavoro dovranno controllare poi, per chi ha una retribuzione intorno ai 28 mila euro, se il venir meno del bonus fa invece scattare il diritto alle detrazioni. Il decreto specifica inoltre che il reddito complessivo su cui calcolare le agevolazioni comprende anche quello esente dall’Irpef ordinaria per ricercatori e lavoratori rientrati dall’estero.
LO SCHEMA
Ma c’è un altro aspetto che evidenzia il carattere comunque provvisorio dello schema delineato nel decreto, in particolare per qual che riguarda le detrazioni. Si tratta di quelle che in termini tecnici si chiamano aliquote marginali effettive: in altre parole, la quota di reddito che viene trattenuta dal fisco su un’eventuale componente aggiuntiva della retribuzione, come un aumento di stipendio o il compenso per gli straordinari. Questo importo è condizionato non solo dall’aliquota nominale prevista dalla legge, (che a 28 mila euro passa già al 38 per cento) ma anche dal fatto che l’aumento dell’imponibile fa assottigliare o venire meno bonus e detrazioni. Il problema era già noto, a proposito degli “80 euro” per la parte finale dei redditi coinvolti, tra i 24.600 e i 26.600 euro: su questo tratto della curva prima si arrivava anche all’80 per cento, mentre ora l’effetto sarà un po’ attutito. Ma tra i 35 mila e i 40 mila euro l’aliquota marginale effettiva - senza considerare detrazioni per carichi familiari e addizionali locali - supera il 51 per cento. Vuol dire che di un eventuale aumento di 1.000 euro al lavoratore ne andrebbero in tasca poco più di 480.
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Il Gazzettino