Di nuovo, e ieri per ben due volte, la maggioranza giallo-verde in Senato è finita sotto il filo dei numeri. Ossia non c'è più. Era stato così...
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Questo nel primo voto, quello sulla mozione dem e i 19 astenuti sono di Fratelli d'Italia e di alcuni di Leu. Contro il documento forzista si sono espressi 157 senatori, 110 i favorevoli e 5 astenuti (del Misto, area sinistra). E insomma, Toninelli salvo. Ma salvare un ministro non amato dalla propria maggioranza, e perfino in parte dal proprio partito, si è rivelata impresa ardua dal punto di vista aritmetico. Che naturalmente è politico. Lo scollamento della mancata quota 161 è evidente. E potrebbe rivelarsi una catastrofe, se dovesse ripetersi su temi sensibili e fondanti dell'attuale governo che presto arriveranno all'esame di Palazzo Madama: a cominciare dal Decretone con dentro Quota Cento e Reddito di cittadinanza, per non dire della Legittima difesa (martedì voto finale, e Di Maio è preoccupatissimo per la tenuta dei suoi), dello SbloccaCantieri su cui la tensione M5S-Lega è già salita assai e poi sul Def.
Solo Centinaio, alla fine, di corsa, ieri tra i ministri leghisti ha votato per Toninelli. La presenza del Carroccio è mancata fino all'ultimo minuto, nessun ministro in aula - solo Conte, Di Maio e la Lezzi a proteggere Toninelli - e assenze di peso, visti i numeri risicati su cui può contare la compagine governativa giallo-verde in quest'aula, sui banchi della Lega. Sei senatori mancanti (ma Bossi perché sta male e la ministra Stefani perché le è morto il papà): hanno votato in 52 su 58. E svariati presenti, tra un sussurro e una confidenza ai colleghi e ai curiosi, ripetevano per lo più: «Ci tocca salvare quella frana di Toninelli, così vuole il Capitano». Svogliati, già scollati dai grillini, insomma. Ma Salvini - la cui assenza al fianco di Toninelli è stata macroscopica - minimizza su di sé e su i suoi: «Le assenze non hanno alcun significato politico». Di fatto, però, «la maggioranza non ha più i numeri», esulta la capogruppo azzurra Anna Maria Bernini. E così Maurizio Gasparri: «Il loro logoramento ormai è evidentissimo». Lo dicono pure quelli del Pd.
IL FILO SOTTILE
La mattinata del voto è stata anche agitata. Con il senatore forzista Francesco Giro che a un certo punto, in risposta ai grillini che dicevano «bunga bunga» su Berlusconi, ha fatto il gesto delle manette (il riferimento è al caso De Vito) e la presidente Casellati è dovuta intervenire. Intanto le due mozioni di sfiducia hanno avuto entrambe 104 voti dai pentastellati. Dunque 2 grillini (il gruppo è di 106) non hanno votato perché in missione. Sei più due fa 8: e alla maggioranza - che sa di essere sul filo in Senato - se togli 8 voti maggioranza non è più e così è stato.
Sulla mozione Pd sono stati 15 i senatori di Fratelli d'Italia ad astenersi, facendo in questo modo abbassare il quorum, mentre La Russa lancia un messaggio a Salvini: «Proporrò una mozione di sfiducia su tutto il governo». Così, tanto per vedere l'effetto che fa. Uno dei più attenti uomini-calcolatrice del Senato, il forzista Malan, spiega: «Meno otto voti è un pericolo per loro molto forte. I margini si sono ridotti anche perché Nugnes, Fattori e La Mura non ubbidiscono più al vertice 5 stelle. E nel voto per Salvini, loro tre hanno detto sì al processo e sette loro colleghi si sono astenuti».
C'è dunque una carenza politico-aritmetica e reciproche rappresaglie. Ai voti contrari e agli astenuti pentagrillini sul Capitano, s'è risposto con le assenze pesanti. E il palottoliere, a dispetto della sicurezza ostentata, non lascia tranquilli i padroni del governo. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino