L'esilio misterioso di Enzo Bianchi. «Diktat disumani dal Vaticano ma non ne conosciamo i motivi»

L'esilio misterioso di Enzo Bianchi. «Diktat disumani dal Vaticano ma non ne conosciamo i motivi»
Città del Vaticano – Dopo mesi di tira e molla e sonori ceffoni mediatici (e legali) tra il Vaticano, la Comunità di Bose e fratel Enzo Bianchi non...

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Città del Vaticano – Dopo mesi di tira e molla e sonori ceffoni mediatici (e legali) tra il Vaticano, la Comunità di Bose e fratel Enzo Bianchi non è ancora chiaro cosa abbia scatenato reazioni tanto radicali. Il motivo del dissidio resta ancora misterioso. Persino a Enzo Bianchi che, infatti, scrive: «Veniva chiesto a me, a due fratelli e a una sorella l’allontanamento da Bose a causa di comportamenti a noi mai indicati e spiegati che avrebbero intralciato l’esercizio del ministero del priore di Bose, fratel Luciano Manicardi. Pur non avvallando le calunnie espresse nel Decreto, coscienti che non ci era consentito l’esercizio del diritto fondamentale alla difesa (come sancito dalla Carta dei diritti umani e dalla Convenzione europea)  abbiamo obbedito al Decreto».

Papa Francesco prima di partire per l'Iraq ha ricevuto il prete psicologo, Amedeo Cencini che aveva spedito in Piemonte a fare una ispezione alla comunità ecumenica fondata da Bianchi. Una realtà conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, all'interno della quale si è scatenata una guerra per bande, da una parte i seguaci di Enzo Bianchi e dall'altra quelli del nuovo gerente, Luciano Manicardi. Il Papa dopo aver ascoltato padre Cencini ha avallato la sua posizione e ha fatto diffondere un comunicato che stabiliva (nuovamente) che Enzo Bianchi avrebbe dovuto far valigia, andarsene e obbedire. Per lui la via è quella dell'esilio. In tutta risposta Bianchi ha diffuso un altro memorandum nel quale descrive un crescendo di imposizioni, diktat, quasi «disumani», li definisce proprio così. 

Scrive Bianchi: «Il decreto del delegato pontificio pone con tutta evidenza me e quanti con me vivono a Cellole (in Toscana) in una condizione di radicale precarietà, obbligandoci a vivere perennemente nell’angoscia di essere cacciati in ogni momento e per qualsiasi ragione. Se alle indicazioni del Segretario di Stato avrei sempre potuto ubbidire, alle modalità di realizzazione dettate in particolare da fratel Guido Dotti non ho mai potuto dare il mio assenso».

In pratica il decreto ingiunge a Bianchi di trasferirsi a Cellole senza sapere né l'identità del nuovo status, né il numero dei fratelli e delle sorelle che sarebbero andati a vivere con lui. Il testo stabilisce anche che l'Associazione Monastero di Bose può cacciare da Cellole in ogni momento, su semplice richiesta e senza motivo padre Bianchi e chi vi risiede. Poi viene fatta richiesta di non menzionare mai 'Bose', né che i monaci possano definirsi monaci. «Potranno semplicemente definirsi come coloro che danno assistenza a fratel Enzo Bianchi, pertanto ridotti a meri “badanti”».

«Con tutta evidenza, questa imposizione risulta lesiva della dignità personale e dei diritti monastici fondamentali di questi fratelli e sorelle che vivono a Bose anche da quarant’anni. Se a Cellole è loro vietato di condurre vita monastica, essi cosa vivono? Vengono loro riconosciuti i diritti monastici ma è loro espressamente vietata la sostanza della vita monastica. queste condizioni, che non sono mai state rese note alla comunità, io non ho mai dato il mio assenso, perché mi sembrano disumane e offensive della dignità dei miei fratelli e delle mie sorelle» scrive Bianchi, aggiugendo che è pronto a dimostrare tutto questo, carte alla mano.

Per questo, dall’inizio di febbraio, Bianchi ha ricominciato la ricerca di una dimora in cui poter vivere la vita monastica e praticare l’ospitalità come sempre ha fatto: «alla mia vocazione non intendo rinunciare». 

La saga di Bose è destinata a continuare e a non esaurirsi a questa puntata.

 


 

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Il Gazzettino