Omicidio di Sana Cheema: padre e fratello svaniti nel nulla, il processo rischia di non partire

Gli indagati sono spariti nel nulla e il processo rischia di non poter partire. Dopo essere stati assolti in Pakistan per mancanza di prove certe, il padre e il fratello di Sana...

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Gli indagati sono spariti nel nulla e il processo rischia di non poter partire. Dopo essere stati assolti in Pakistan per mancanza di prove certe, il padre e il fratello di Sana Cheema, 25 anni, nata cresciuta a Brescia dove ha vissuto fino a dicembre 2017 e uccisa in Pakistan lo scorso aprile perché si era opposta a un matrimonio combinato con il cugino, non sono reperibili per la giustizia italiana. Perciò non è stato possibile consegnare loro, finora, alcuna notifica dell’indagine in corso.





NESSUNA NOTIFICA
A febbraio il tribunale distrettuale di Gujrat, nel Nord-Est del Pakistan, ha assolti i due uomini per mancanza di prove e testimoni sufficienti, benché l’autopsia abbia confermato l’omicidio per strangolamento. A quel punto la procura generale di Brescia allora guidata da Pier Luigi Maria Dell’Osso aveva avocato l’inchiesta, ma i due indagati Mustafa Gulham, 50 anni, il padre di Sana, e il trentaduenne Adnan, fratello della giovane, non sono più reperibili: per legge il processo italiano non può partire se non c’è certezza della notifica agli indagati dell’avviso di conclusione indagini e, come spiega il loro avvocato d’ufficio Sandra Dibitonto, «non li ho mai sentiti e non so dove siano». Le indagini sono chiuse, ma il processo probabilmente non partirà mai nonostante l’impegno dei magistrati: «Si tratta di un delitto politico perché offende i diritti civili di un cittadino italiano, in questo caso Sana», aveva commentato Dell’Osso. «Chiudere le indagini in tempo così rapidi è un’affermazione di giustizia che la comunità pakistana, molto numerosa a Brescia, ha apprezzato. Un omicidio così non può essere impunito». Eppure tale rischia di rimanere.

 

STRANGOLATA

Il padre e il fratello di Sana avevano inizialmente confessato l’omicidio, salvo poi ritrattare, ed erano finiti in carcere. Per poi essere assolti dai giudici insieme ad altre nove persone, tornando immediatamente liberi. Per il tribunale distrettuale di Gujrat, nel nord-est del Pakistan, non c’erano le prove per condannarli e inoltre mancano i testimoni del delitto. L’autopsia aveva confermato l’omicidio, la ragazza aveva l’osso del collo rotto come conseguenza di uno strangolamento, ma per i magistrati pakistani nessuno degli undici imputati, tra cui quattro parenti stretti della giovane, può essere ritenuto responsabile per quella morte. La magistratura italiana, con la richiesta del ministero della Giustizia, può far celebrare un nuovo processo. A condizione che i presunti responsabili siano in Italia. Di Mustafa Gulham e di Adnan tuttavia non c’è traccia.
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Il Gazzettino