Con la condanna di Rocco Schirripa all'ergastolo è arrivata, a distanza di 34 anni, una verità giudiziaria di primo grado sull'esecutore materiale...
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La Procura milanese (competente sui reati commessi contro toghe torinesi) ha ricostruito che l'assassinio sarebbe stato una dimostrazione di «fedeltà» e una «prova di coraggio» data da Schirripa ai boss, in particolare a Domenico Belfiore dell' omonimo clan, già condannato in via definitiva all'ergastolo come mandante. Le due figlie del procuratore, Paola e Cristina, hanno definito «giusta» la sentenza ma, secondo loro, sul caso «ci sono ancora tanti aspetti da indagare e pezzi di verità da aggiungere». Il legale di parte civile, Fabio Repici, infatti, si è spesso scontrato con la Procura milanese chiedendo a più riprese di indagare anche su una pista che intreccia mafia, clan calabresi e servizi segreti e il riciclaggio di denaro al casinò di Saint Vincent su cui stava indagano Caccia prima di morire. Dopo il verdetto, il presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi ha sottolineato che «la sentenza è un altro passo importante, dopo molti anni, verso la verità e la giustizia». Secondo i pm, a scatenare la reazione della cosca sarebbe stato «l'estremo rigore» del procuratore, che con il suo interessamento verso le «attività finanziarie» dei clan avrebbe impedito loro di fare affari, nonostante la compiacenza di altri magistrati.
Tra le prove nel processo a Schirripa, ripartito da zero alla fine dello scorso anno per un errore procedurale della Procura, una serie di dialoghi registrati con un virus inoculato negli smartphone di Belfiore e altri 'ndranghetisti, tra cui suo cognato Placido Barresi.
Il Gazzettino