Mamma lascia i bimbi nel bosco: "Non volevo che mi vedessero morire"

Alexia Canestrari
Ora che può parlarne senza l'angoscia di quei momenti, ammette: «È stato un miracolo, io sono una credente, siamo stati sotto la mano del Signore»....

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Ora che può parlarne senza l'angoscia di quei momenti, ammette: «È stato un miracolo, io sono una credente, siamo stati sotto la mano del Signore». Lei e due bambini di 4 e 5 anni si sono persi per i sentieri innevati di Monte Livata, il 31 dicembre del 2014. Una giornata intera, da incubo. Dopo aver trovato per i piccoli un posto all'asciutto, si è lanciata in nuove scalate, in altri percorsi, per cercare aiuto. «L'unica possibilità che avevamo per salvarci», dice. Alla fine è andata bene: tutti salvi, nessuna conseguenza grave. Se non fosse che per Alexia Canestrari, moglie di Emanuele Tornaboni, imprenditore conosciuto nella Capitale, perché proprietario del Circolo sportivo Due Ponti, la vicenda non può dirsi chiusa. La procura di Tivoli aveva chiesto il non luogo a procedere, ma il gip ha deciso invece che deve essere processata per abbandono di minori. A denunciarla è stata la ex moglie di Tornaboni, mamma di uno dei due bambini. E un ex matrimonio finito con una separazione non facile, è diventato una guerra senza esclusione di colpi. Dove alla fine a rimetterci sembrano un po' tutti.

 


Signora Canestari, perché quella passeggiata nella neve?
«Manuel voleva andare nel boschetto a vedere gli scoiattoli. Il posto non sembrava pericoloso, era di fronte alla casa dove eravamo ospiti. Lui è figlio del primo matrimonio di Emanuele, mentre Nicole, l'altra bambina, è nata dalla nostra relazione. Sei figli in tutto, tre e tre. Siamo sempre andati d'accordo. Ci chiamavano la famiglia Bradford».

Come avete fatto a perdervi?
«Abbiamo cominciato a camminare dentro quel faggeto. I bambini avevano la tuta e i moon boot, era un percorso tranquillo. Io sono stata tante volte in montagna, non potevo immaginare che lungo quel tragitto non ci fossero né case, né baite. E neanche delle indicazioni. Dopo aver camminato per un po' pensavo che la strada percorsa riportasse indietro. Invece ci stavamo allontanando».

I bambini che facevano?

«Erano tranquilli, hanno vissuto tutto come un gioco. Gli dicevo: “Facciamo un gioco, cerchiamo i segnalini”. Era ancora giorno. Avevo gli Ugg ai piedi, un maglioncino e il piumino. Non ero attrezzata, e cominciavo a sprofondare nella neve. Salivamo, salivamo, e non si arrivava a niente. Roccia, neve, alberi. Chi non conosce il posto fa presto a dare giudizi. Sono stati gli stessi soccorritori a dirmi che si perdono in tanti in quella zona. Avevo il telefono scarico, ma anche se avesse funzionato sarebbe stato inutile, perché lì non prendevano nemmeno i walkie talkie». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino