Una massiccia presenza di metalli nel sangue e nelle urine, soprattutto cadmio e antimonio, e il forte sospetto che quelle sostanze siano radioattive, tanto che per l'autopsia...
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Imane Fadil, il giallo del cobalto ionizzato: il veleno che svanisce
«C'è l'ipotesi di un avvelenamento, ma non si può nemmeno escludere che Fadil sia morta per una malattia rara», ha spiegato Greco, con a fianco l'aggiunto Tiziana Siciliano e i pm Luca Gaglio e Antonia Pavan. I medici dell'Humanitas, però, ha aggiunto, «hanno già cercato di seguire tutte le ipotesi possibili in base alla scienza medica e ad una ad una le hanno scartate, trovandosi davanti ad una situazione complessa che non sono riusciti a comprendere».
Si deve ripartire, dunque, da quelle concentrazioni di metalli trovate nelle analisi effettuate anche sulle urine (date le molte trasfusioni di sangue a cui è stata sottoposta) dal centro Maugeri di Pavia: 3 mg per litro di antimonio contro un range 'normalè che va dallo 0,02 allo 0,22, un livello di cadmio urinario di 7 mg per litro contro un range che va da 0,1 a 0,9. E ancora molibdeno, cobalto, cromo urinario (7,4 mg/litro) e cromo nel sangue (2,6 mg/litro). E se fonti qualificate, anche con questi valori, escludono la tossicità delle sostanze, dall'altro lato, però, una «pesante», così definita dai pm, concentrazione di metalli può accompagnarsi con la presenza di «isotopi radioattivi».
Una prima conferma di radioattività sul corpo di Fadil gli inquirenti l'avrebbero già avuta da un test parziale, anche se Greco ha precisato che sono in attesa degli esiti definitivi e solo dopo «verrà effettuata l'autopsia, probabilmente tra giovedì e venerdì», ma potrebbe anche slittare. Sui ritardi negli esami autoptici i pm hanno voluto chiarire che proprio le tracce «di sostanze particolari», in particolare antimonio e cadmio in alte percentuali, rendono necessarie cautele e precauzioni, oltre che strumentazioni complesse, «al fine di non esporre i medici a rischi».
Proprio in vista dell'autopsia, tra mercoledì e giovedì si dovrebbe procedere con «l'estrazione di alcuni campioni per le prime analisi», ossia i carotaggi degli organi. Nel frattempo, si è saputo che già il 12 febbraio, per la prima volta, Imane aveva rivelato il timore di essere stata avvelenata ma, ha affermato Greco, l'Humanitas non ha mai dato comunicazioni ai pm o alla polizia giudiziaria prima della morte. Circostanza confermata anche dal direttore sanitario della struttura, Michele Lagioia, sentito oggi.
Testimonianze che i pm stanno continuando a raccogliere, come quella di un amico 'storicò della 34enne che dallo scorso autunno la ospitava, dopo che lei lasciò una cascina a sud di Milano dove viveva in condizioni disagiate, ma dignitose. «Non era depressa», ha detto ai pm l'amico che la accompagnò all'ospedale a fine gennaio quando venne ricoverata. Lei che continuava a chiedere «giustizia», partecipando a tutte le udienze del 'Ruby ter', e non si fidava più, come ripeteva, nemmeno dei magistrati milanesi. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino