Due piccoli banditi, una vittima con troppi soldi in tasca, un poliziotto. Si sono trovati nello stesso punto, alla stessa ora, le 8,55, in via degli Aromi, a Collefiorito, alle...
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Sembrava un incidente ma i due hanno colpito alla testa con il calcio della pistola l’uomo nell’abitacolo. Ad assistere alla scena, un poliziotto libero dal servizio: ha parcheggiato lo scooter, si è avvicinato e intimato brandendo una pistola l’alt ai malviventi. Ne è nata una colluttazione, i due sono scappati nel vicino parco degli Aromi, dove l’agente, un lottatore delle Fiamme Oro, ha sparato due colpi al collo di Emanuele Taormina, 23 anni, morto sul colpo. E uno che ha preso all’addome Simone Brunetti. I due avevano in pugno modelli replica, identici a pistole reali. Una volta tolti i passamontagna, la scoperta: a terra giacevano due giovani molto conosciuti in zona, in particolare il poliziotto avrebbe riconosciuto Brunetti, forse incrociato durante allenamenti e gare. Per Emanuele Taormina, da subito non c’è stato nulla da fare.
IN FIN DI VITA
Il corpo senza vita del giovane è rimasto fino a tarda mattinata nel parco, in attesa del magistrato, dei rilievi, del riconoscimento. Fuori un capannello di amici e parenti ha seguito le operazioni in silenzio e lacrime. «L’ho visto crescere», «lo portavo nel passeggino...». Più tardi qualcuno ha posato un mazzo di fiori. Intanto, l’amico, anche lui 23 anni, meccanico, con precedenti, veniva trasportato all’ospedale di Tivoli e operato ai polmoni. Da qui in condizioni gravi è stato trasferito a Roma all’Umberto I.
A casa Roberto e Simona, i genitori di Emanuele, sono crollati in un dolore senza fondo. L’ambulanza è stata chiamata più volte, in quell’abitazione alle porte dell’Albuccione dove papà Roberto, addetto alla consegna di bombole d’ossigeno, seguiva con amore e attenzione i suoi cinque figli, non si dava più pace. «Dovevo morire io, non si può sopravvivere a un figlio...». Aveva fatto di tutto per allontanare quel ragazzo dai pericoli, ma non ci è riuscito. E la mamma: «Che ho fatto di male? Gliel’avevo detto di non frequentare certe compagnie». Emanuele, aveva tre fratelli maschi e una femmina. Tutti con la passione per il calcio avevano giocato in diverse squadre giovanili. Anche il padre, Roberto, era stato un bravo attaccante del Guidonia. Emanuele in passato aveva lavorato al Car, chissà, forse conosceva le mosse dell’uomo che ha tentato di rapinare assieme all’amico.
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Il Gazzettino