Coronavirus, 8mila medici rispondono al bando per trovarne 300 da mandare negli ospedali del Nord

In primi linea, in trincea, al fronte: sono stanchi e feriti, nel fisico e nell'anima, ma non arretrano mai. Il coronavirus non è ancora sconfitto, ma c'è...

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In primi linea, in trincea, al fronte: sono stanchi e feriti, nel fisico e nell'anima, ma non arretrano mai. Il coronavirus non è ancora sconfitto, ma c'è già chi ha vinto. Sono i medici e gli infermieri da settimane al fianco degli ammalati e delle loro famiglie.


«L'Italia migliore», come il ministro Francesco Boccia definisce i circa ottomila che, da ogni parte, hanno risposto al bando per la creazione della task force di 300 medici da inviare nelle regioni del nord.

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«È l'ennesima risposta generosa di cui tutti noi italiani possiamo andare fieri», li ringrazia Giuseppe Conte. «Eroi dal camice bianco», come li definisce il premier, giovani e anziani che, una volta selezionati, riceveranno un «premio di solidarietà» di 200 euro per ogni giorno di lavoro. In base all'ordinanza 654, firmata ieri dal capo della Protezione civile, i «soldati di Ippocrate» affiancheranno i colleghi che, dopo giorni di battaglia, sono «allo stremo».

«La situazione è grave: nei prossimi giorni sarà drammatica», scrive l'Ordine dei Medici del Piemonte, che in una lettera chiede al governo di «intervenire con urgenza» perché iniziano a scarseggiare i posti letto in rianimazione e nei reparti«. Medici disperati, sprovvisti anche di adeguati dispositivi di protezione. Non soltanto delle ormai famose mascherine.

 

Come all'ospedale Parini di Aosta, i sacchi di plastica per l'immondizia indossati al posto dei camici idrorepellenti che non ci sono più.

«È una carenza significativa perché le mascherine è più facile recuperarle e costruirle, i camici un pò meno - spiega il direttore sanitario dell'Usl della Valle d'Aosta, Pier Eugenio Nebiolo - Dobbiamo proteggere i nostri operatori a contatto con i pazienti, altrimenti diventa poi difficile curarli».
 


La stanchezza è grande, non soltanto quella fisica. «Torniamo a casa dal lavoro con il cuore stretto nella morsa del dolore, pensando a chi non ce l'ha fatta, a chi non ce la farà nonostante i nostri sforzi, pensando alle loro famiglie distrutte e alle nostre che ci guardano da lontano temendo un nostro crollo psicofisico», dice la dottoressa Emanuela Cataudella, del pronto soccorso dell'ospedale San Carlo Borromeo di Milano. Non a caso l'ospedale Mauriziano di Torino ha attivato un Servizio di supporto psicologico per i dipendenti.


«Una possibilità di ascolto, condivisione e supporto, al telefono o via Skype, in un periodo di destabilizzazione e di incertezza - spiega il presidio sanitario - che vede il personale sanitario impegnato in un grande sforzo di cura e solidarietà, ma anche di isolamento e frustrazione che ha delle ripercussioni sull'equilibrio emotivo«. Il mantra, negli ospedali, resta comunque »ce la faremo». «Siamo impegnati quotidianamente, a vario livello e in differenti ruoli, nella gestione di questa 'imprevedibile calamità' - sottolinea Sciretti - Oggi, per una giusta causa e con l'orgoglio di chi si è sempre speso per proteggere la salute delle persone, teniamo duro. Noi, che non siamo gli eroi del momento ma i professionisti di sempre». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino