La nota depositata porta l'intestazione della Procura di Firenze. Un suggello che toglie ogni dubbio sulla esistenza di una inchiesta per le stragi mafiose del 1993...
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Una circostanza che, secondo il legale di Dell'Utri, l'avvocato Francesco Centonze, andrebbe sanata essendo l'esame di Berlusconi «una logica conseguenza dalla qualifica di persona offesa attribuita al medesimo nella sentenza impugnata in quanto destinatario finale della pressione o dei tentativi di pressionè di Cosa nostra». Per i difensori dell'ex premier tra il procedimento fiorentino e quello palermitano c'è una evidente connessione, - la tesi è che le stragi del '93 siano state fatte proprio per accelerare la trattativa tra pezzi dello Stato e la mafia - quindi Berlusconi assumerebbe la veste non di teste puro, ma di indagato di procedimento connesso potendo avvalersi della facoltà di non rispondere. L'ultima parola spetta però alla corte d'assise d'appello che, sentita anche la Procura generale, potrebbe pronunciarsi sul punto già all'udienza di domani. I pm fiorentini già nel 1996 avevano indagato Berlusconi per le stragi del '93.
L'inchiesta era stata archiviata nel 1998. Nel 2009, grazie alle rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza, venne aperta una seconda inchiesta che fu archiviata nel 2013. Due anni fa, i pm siciliani, che per mesi hanno intercettato in carcere il boss Giuseppe Graviano nell'indagine trattativa, inviarono a Firenze le conversazioni registrate e nacque il terzo fascicolo tuttora aperto. Nel carcere di Ascoli Piceno conversando con un compagno di socialità, il boss di Brancaccio ha parlato a ruota libera. Anche di Silvio Berlusconi. «Mi ha chiesto questa cortesia... per questo c'è stata l'urgenza. Lui voleva scendere... però in quel periodo c'erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa». Linguaggio criptico che per i pm era una chiara allusione alle stragi che vedrebbero l'allora imprenditore, già intenzionato a scendere in campo, come ispiratore, e la mafia come esecutrice, nel tentativo di dare una spallata alla vecchia politica.
LE INTERCETTAZIONI
Le intercettazioni che hanno determinato la nuova indagine a carico del leader di Forza Italia sono quelle in cui il capomafia di Brancaccio Giuseppe Graviano diceva al suo compagno di detenzione, nell'aprile 2016, spezzoni di frasi come queste: «Novantadue già voleva scendere… e voleva tutto»; e ancora: «Berlusca...
Le intercettazioni furono trasmesse dai magistrati palermitani al procuratore di Firenze, Giuseppe Creazzo, all'inizio dell'autunno del 2017, e poco dopo la polizia giudiziaria iniziò lo svolgimento delle verifiche che non si sono ancora concluse. Per questo la procura, nell'ottobre di due anni fa chiese al gip del tribunale di riaprire il fascicolo su Berlusconi e le stragi nella città dove sono concentrate le indagini sulle bombe mafiose del 1993 scoppiate a Firenze, Roma e Milano. I nome dell'ex premier è stato iscritto con intestazioni che avrebbero dovuto coprirne l'identità, come in altre occasioni, anche per evitare fughe di notizie e strumentalizzazioni politiche conseguenti.
L'ISCRIZIONE SUL REGISTRO DEGLI INDAGATI
«Sorpresa, rabbia, incredulità. E una grandissima amarezza». A quanto apprende l'Adnkronos sono questi i sentimenti espressi dall'entourage di Marcello Dell'Utri dopo la decisione degli avvocati di Berlusconi di depositare una memoria con l'evidenza dell'iscrizione sul registro degli indagati a Firenze dell'ex premier per le stragi del '93. Una circostanza, quella dell'iscrizione, che sottintende alla decisione degli avvocati di Berlusconi di non far deporre il Cavaliere al processo sulla Trattativa Stato-Mafia.
«Sorpresa, rabbia, incredulità e una grandissima amarezza» perché sia i legali di Dell'Utri, sia la famiglia, sia tutte le persone che sono state, e sono vicine all'ex senatore di Forza Italia scarcerato solo a seguito delle gravissime condizioni di salute, contavano sulla deposizione di Berlusconi che sarebbe stata fondamentale sulle minacce allo stesso ex premier. Bocche cucite in famiglia. Miranda Dell'Utri all'Adnkronos affida solo poche parole: «È meglio che non parlo, meglio che non dico quello che penso. Ricordo solo che la testimonianza di Berlusconi era stata ritenuta decisiva persino dalla Corte di Assise d'Appello di Palermo. Qui c'è la vita di Marcello in gioco…»
LE STRAGI
Per le stragi mafiose oggetto del processo s'è usata la locuzione bombe del 1992-1993, ad indicare un periodo caratterizzato da una serie di attentati da parte di Cosa Nostra realizzati in Italia durante quegli anni. Ciò che contraddistinse il periodo fu la natura particolarmente violenta delle azioni, per le quali furono utilizzate anche autobombe. Vennero attaccati membri delle forze di polizia, della magistratura (Falcone e Borsellino) e uomini politici (Salvo Lima), ma anche il patrimonio culturale e personalità non coinvolte direttamente nel contrasto all'organizzazione, come il giornalista Maurizio Costanzo, con l'obiettivo di indebolire, colpire e ricattare lo Stato ed influenzare il governo e la società civile, al fine di creare le condizioni per realizzare una trattativa tra Stato italiano e Cosa nostra.
IL MAXIPROCESSO
Il 30 gennaio 1992 la Corte di Cassazione confermò la sentenza del Maxiprocesso che condannava Riina e molti altri boss all'ergastolo: in seguito a tale sentenza, nel febbraio-marzo 1992 si tennero riunioni ristrette della "Commissione provinciale" (a cui parteciparono Riina, Salvatore Biondino, Raffaele Ganci, Giovanni Brusca, Michelangelo La Barbera, Salvatore Cancemi, in cui venne deciso di dare inizio agli attentati e vennero stabiliti nuovi obiettivi da colpire. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino