Azar Nafisi: «Libertà, la parola che avrà la forza di cambiare l'Iran», è l'autrice di “Leggere Lolita a Teheran”

Azar Nafisi: «Libertà, la parola che avrà la forza di cambiare l'Iran». A Roma l'autrice di “Leggere Lolita a Teheran”
«Quando vedo i giovani scendere in piazza in Iran, provo un'ondata di sentimenti contraddittori. Da una parte provo una grande gioia, per il coraggio che stanno...

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«Quando vedo i giovani scendere in piazza in Iran, provo un'ondata di sentimenti contraddittori. Da una parte provo una grande gioia, per il coraggio che stanno dimostrando; dall'altra, avverto un senso di rabbia, di angoscia, per la violenza che il regime sta infliggendo al nostro popolo». A parlare è Azar Nafisi, l'autrice iraniana di Leggere Lolita a Teheran, il bestseller tradotto in 30 lingue che vent'anni fa raccontò al mondo la sua piccola grande ribellione di «leggere Nabokov contro tutto e tutti», insegnando ai ragazzi la letteratura proibita dopo l'espulsione dall'Università. Azar Nafisi è stara protagonista di Più libri più liberi, la fiera nazionale in corso alla Nuvola dell'Eur, con l'incontro a cura di Adelphi intitolato Iran: donne, diritti e libertà, in dialogo con Michela Murgia . Il 9 dicembre  l'autrice sarà alla Libreria Nuova Europa I Granai (ore 18), mentre sabato 10  dialogherà alla Nuvola con Jhumpa Lahiri (ore 13).


Signora Nafisi, sembra che questa generazione sia più determinata ad abbattere il regime, rispetto a quelle che l'hanno preceduta, non trova?
«I giovani in Iran non vedono alcun futuro, ritengono di non avere nulla da perdere. E il popolo iraniano, nella sua totalità, ha ormai compreso che questo regime non cambierà mai attraverso le riforme, come qualcuno ha sperato in passato. L'unico modo che vedono per sopravvivere è il cambiamento».

Pensa che la rivolta avrà successo?
«Ricordo molto vividamente quando rifiutai di indossare il velo e fui espulsa dall'Università. Provai un'immensa rabbia. Aspettavo da tempo un momento come questo. Spero che un giorno, come milioni di altri iraniani, potrò tornare nella mia patria».

 


Sembra che oggi tutte le donne iraniane ripetano lo stesso suo gesto di allora, vero?
«Sì, ed è una cosa incredibile. Perché questa protesta contro il velo aveva preso il via proprio all'inizio della rivoluzione. L'8 marzo del 1979, centomila donne si riversarono nelle strade di Teheran e in altre città, contro la fatwa dell'ayatollah Khomeini che ne imponeva l'uso. Il loro slogan era la libertà non è né orientale né occidentale, la libertà è globale. Molte furono attaccate, sfregiate a colpi di forbice o coltello, ma non hanno mai rinunciato a lottare. Le donne che rifiutano oggi di indossare il velo, o che gli danno fuoco, sono le figlie e le nipoti di quella generazione».

 


La sua famiglia ha precorso i tempi: suo padre è stato il più giovane sindaco di Teheran e sua madre era nel primo gruppo di donne elette all'Assemblea nazionale.
«Sì, mio padre si oppose al premier e al ministro dell'Interno, e fu perseguitato per questo. Fabbricarono delle false accuse e lo incarcerarono senza processo, per quattro anni. Quando poi ci fu il processo, si difese e fu assolto. Anche mia madre era di spirito molto indipendente: criticava le massime autorità e pagò un prezzo per questo. Nessuno avrebbe immaginato, a quel tempo, che l'Iran sarebbe diventata una repubblica islamica».


Lei è tornata in Iran nel 1979, per essere costretta all'esilio nel 1997. Oggi è cittadina americana.
«Il mio primo marito studiava all'Università dell'Oklahoma. Poi ho insegnato alla Johns Hopkins University di Washington. Ho due figli, uno è come il padre un ingegnere civile e mia figlia è diventata medico, ma ha come me la passione per la letteratura. Abbiamo due patrie, l'America e l'Iran. Tutti noi vorremmo poter tornare».


Ci ha mai provato dopo il 97?
«Come dice un mio amico, andare in Iran è facile, ma andarsene non lo è affatto».


Lei è ottimista?
«Credo che ce la faranno a liberare il Paese, ma è molto difficile fare previsioni. Ho speranza, perché questo regime ha fallito, ha perso la sua legittimità. E sembra impossibile tornare indietro, dopo questa rivolta. Bisogna per forza andare avanti».


Quell'altro mondo è l'ultimo suo libro pubblicato in Italia.
«Ne ho scritto un altro uscito a marzo in inglese, che non è stato ancora tradotto, Read Dangerously (in Italia uscirà nel 2023 per Adelphi, ndr). Quell'altro mondo è il mio primo libro, originariamente scritto in persiano. Poi è finito all'indice. Read Dangerously è sul potere sovversivo della letteratura, contro qualunque stato totalitario».


Tratta anche dell'attacco a Salman Rushdie, giusto?


«Sì. Le sue uniche armi erano le parole, eppure c'erano persone armate fino ai denti che avevano così paura di lui, da ritenere che l'unico modo per sopravvivere fosse farlo fuori fisicamente. Questo dimostra quanto sia forte il potere dell'immaginazione. Anche negli Stati Uniti ci sono pericoli per la democrazia, il totalitarismo esiste ovunque nel mondo. Non bisogna mai abbassare la guardia». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino