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La parte del leone la sta facendo il rame, che nel corso degli ultimi dodici mesi è raddoppiato di valore e non mostra di aver ancora esaurito la spinta al rialzo. Seguono a ruota l’acciaio (+79%) e i minerali ferrosi (+50%). Il barile Brent è rincarato del 63%, il petrolio da riscaldamento del 74%, il carbone, asfissiato com’è da costi di produzione sempre più proibitivi, è salito del 194%. Non va meglio nel settore alimentare, dove i semi di soia sono ad un anno di distanza più cari del 50%, il grano del 59,9%, e il caffè, punto doloroso per i consumatori, a fine luglio era quasi raddoppiato di prezzo. Siamo nel mezzo di un’impennata dell’intero listino di beni che compongono la borsa valori, dalle materie prime ai beni commerciali. Con Cina e Usa in testa nella corsa ad accaparrarsi le materie prime.
Il costo dell’inflazione che stiamo pagando al supermercato e al ristorante presto atterrerà anche sulle bollette per le utenze energetiche con la forza di un maglio, mentre si aprono nuove opportunità per gli investitori che sanno districarsi nell’andamento dei prezzi tra un materiale e l’altro, e sanno leggere le tendenze future del mercato. Qualunque sia il punto di osservazione, vale comunque la pena di guardare da vicino quello che sta succedendo nel settore delle commodities, perché la volubilità alla quale stiamo assistendo è foriera di trasformazioni che incideranno sulla nostra vita quotidiana. Tutti i metalli e i materiali da costruzione hanno seguito un andamento parallelo in tempo di pandemia. Il loro valore è crollato all’inizio dell’emergenza sanitaria diciotto mesi fa, quando produzione e acquisti hanno registrato una secca battuta di arresto.
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Livelli pre covid
I prezzi sono poi volati alle stelle quando il ciclo economico si è bloccato per la mancanza di scorte, e solo negli ultimi due mesi stanno tornando ad un livello assimilabile a quello del pre-Covid.
Una simile altalena dei prezzi, sempre dovuta alla minaccia del Covid, si è verificata nel campo alimentare: caduta, rincaro, livellamento. Ma al momento in cui ci avviciniamo all’auspicata fine dell’epidemia, c’è da segnalare che non tutti i rincari potranno riassorbirsi. Siccità e incendi hanno provocato danni di lungo corso questa estate in Brasile, principale produttore di caffè al mondo. Per questo motivo se da una parte i cereali e il mais stanno già riprendendo a fluire dal midwest statunitense dopo la crisi dell’ultimo anno, e se la produzione del grano cinese e indiano non ha mai smesso di crescere anche in tempo di lockdown, la disponibilità di caffè nei prossimi anni è destinata a soffrire e di conseguenza i prezzi resteranno molto alti.
E come al solito ci sarà da tenere d’occhio l’andamento del petrolio, uno dei principali artefici dell’inflazione. Il suo prezzo è raddoppiato negli ultimi dieci mesi, e siamo giunti al paradosso che Joe Biden, alfiere dello svezzamento dall’anidride carbonica, stia implorando l’Opec di aumentare nei prossimi mesi l’estrazione del greggio per calmierare il mercato.
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Il Gazzettino