Taviani persi nella nebbia partigiana Hazanavicius perso nelle sue parodie

Taviani persi nella nebbia partigiana Hazanavicius perso nelle sue parodie
All’epoca dell’Orso d’oro alla Berlinale 2012, con “Cesare deve morire”, girato all’interno del carcere di Rebibbia, durante la...

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All’epoca dell’Orso d’oro alla Berlinale 2012, con “Cesare deve morire”, girato all’interno del carcere di Rebibbia, durante la rappresentazione teatrale dello scespiriano “Giulio Cesare”, il cinema di Paolo e Vittorio Taviani sembrava aver ritrovato, in un modo spavaldamente giovanile, quella profondità narrativa e di sguardo dei loro tempi migliori. Il successivo “Maraviglioso Boccaccio” aveva già intaccato questa sensazione, nonostante il tentativo di uno sguardo metafisico degli spazi interni, idea ancora forte per un cinema che coglieva una messa in scena suggestiva. Qui, in questo “Una questione privata”, liberamente tratto dal romanzo di Beppe Fenoglio (di complessa traduzione in immagine), su uno spicchio di terra maledetta durante lo scontro partigiani-fascisti, le perplessità tornano a essere tutte evidenti e sensibili.

Siamo nelle Langhe e il ritorno alla villa dove aveva vissuto giornate di grande speranze con Fulvia, il partigiano Milton rievoca quel vicino periodo anche con Giorgio, amico e rivale nelle lusinghe di Fulvia, ora catturato dai fascisti, con i quali Milton cerca di ottenere uno scambio di prigionieri. Sedotti da una volontà di catturare ancora una volta l’essenza di un conflitto bellico, intessuto con altre battaglie esistenziali, portando la scena su una specie di terra di nessuno tra la nebbia e il fumo delle sigarette, i Taviani (in realtà la regia è firmata solo da Paolo, con Vittorio lontano dal set per problemi di salute, ma il film resta di entrambi) non riescono ad evitare un approccio quasi scolastico, di sorprendente spenta convenzionalità, specie in tutta la prima mezzora, con recitazioni spesso goffe (se Luca Marinelli in versione estroversa ha ormai una sua identità, quello introverso non si sa cosa sia), flashback meccanici e banalmente assemblati.
Certo ci sono anche (pochi) momenti emozionanti, come lo stacco su Fulvia che guarda il mare o la fucilazione di una giovanissima staffetta (e, con una ellissi, quella di Giorgio), ma il tono resta sommesso, l’azione titubante, senza vero slancio, ravvivata solo dall’entrata in scena di Valentina Bellè. Forse over the rainbow e oltre la nebbia, forse in un altro film.
Stelle: 2


IL MIO GODARD: IL BLUFF HAZANAVICIUS - A Parigi, mentre Jean Luc Godard gira “La chinoise”, per le vie della capitale impazza la protesta studentesca, che vede il regista e la sua compagna Anne a fianco delle manifestazioni. Hazanavicius probabilmente pensava di essere ancora sul set di “The artist” dove il cazzeggio aveva almeno una sua funzione. Qui quel periodo e quell’ingombrante regista alla sua svolta maoista diventa una specie di intollerabile e insulsa parodia, nemmeno graffiante. Uno dei più grandi bluff che Cannes abbia inventato: d’altronde è anche il regista del terribile “The search”. Louis Garrel prova col suo Godard a stare al gioco, ma tutta l’operazione appare un divertissment mal riuscito.
​Stelle: 1 
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Il Gazzettino