Gli orsi di Panahi, un Leone d'oro mancato Il Papa di Rosi: un uomo sempre più solo

Gli orsi di Panahi, un Leone d'oro mancato Il Papa di Rosi: un uomo sempre più solo
In questi giorni l’Iran è scosso da continue manifestazioni di piazza per protestare contro l’uccisione...

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In questi giorni l’Iran è scosso da continue manifestazioni di piazza per protestare contro l’uccisione della giovane Mahsa, rea solo di aver indossato in modo non corretto il velo. In questi stessi giorni alcuni tra i più influenti registi cinematografici sono trattenuti in carcere, senza colpevolezza alcuna, se non quella di schierarsi apertamente contro la dittatura religiosa che governa il Paese da molto tempo. Tra questi registi il più importante e famoso è Jafar Panahi, da anni bersaglio continuo del regime, già confinato agli arresti domiciliari, con il divieto di produrre film e concedere interviste, e ora arrestato durante una protesta a favore di colleghi prigionieri e in attesa di processo. 

“Gli orsi non esistono”, il suo ultimo film presentato qualche settimana fa alla Mostra di Venezia, avrebbe probabilmente meritato il Leone d’oro, negato dalla giuria governata da Julianne Moore che forse non voleva far sembrare il premio emozionalmente inquinato dalla situazione personale del regista, ma è stato un errore: sicuramente stavolta nessuno avrebbe avuto nulla da obiettare, un po’ come successe 4 anni quando il presidente di giuria Guillermo Del Toro consegnò il massimo premio all’amico Alfonso Cuarón per il bellissimo “ROMA”.  “Gli orsi non esistono”, infatti è il miglior film nell’ultimo decennio di Jafar Panahi, simbolico rappresentato da tempo ai festival da una sedia vuota; e uno dei suoi migliori in assoluto, dove il regista torna ad affrontare, qui in modo forse definitivo e complesso, lo snodo metalinguistico del cinema nel suo farsi cinema, dettato anche da esigenze di restrizione personale, come connotazione “politica”. “Gli orsi non esistono” è un film che toglie ogni sicurezza: del vivere in un Paese governato con ostilità nei confronti di chiunque si ribelli o abbia un pensiero libero; di quello che vediamo sullo schermo, portando alle estreme conseguenze l’indistinguibilità tra realtà e finzione, anche all’interno della stessa inquadratura, in una vertigine incontrollata. Un’opera sui confini, geografici e cinematografici, dove un regista (al solito lo stesso Panahi) si reca in un villaggio per stare più vicino alla troupe che sta girando il suo nuovo film, in un altro Stato (la Turchia) a pochi passi dalla frontiera. Qui apprendiamo che i due protagonisti vivono probabilmente sul serio la stessa situazione prevista sul set, mentre nel villaggio un’analoga tormentata storia d’amore viene ripresa dallo stesso Panahi, che involontariamente, attraverso l’uso di telecamera e reflex, tradisce tradizioni e superstizioni, tra queste anche la presenza degli orsi del titolo. In pratica la vita al villaggio si fa film e il film che si sta girando oltre frontiera diventa vita.

La figura del regista attraversa strade e conflittualità, esponendosi al pericolo costante, in zone dominate anche dai contrabbandieri, riproponendo anche simbolicamente la sua situazione, ora peggiorata, essendo recluso. Un film molto bello, complesso e inquieto, teorico e politico. E per capire la grandezza di un regista occhio all’ultima scena, dove un banale gesto quotidiano che facciamo spesso, diventa un atto simbolico e politico. Purtroppo le prime risposte in sala sono deprimenti, ma questo è un problema di tantissimi film, che meriterebbero altra sorte anche da parte del pubblico. Voto: 8.

LA SOLITUDINE DI UN PAPA “In viaggio” di Gianfranco Rosi racconta i pellegrinaggi di Papa Francesco, dal suo insediamento fino a oggi, toccando le diverse regioni del pianeta, in un assemblaggio di immagini, discorsi, incontri, discussioni, senza ordine cronologico, che Bergoglio ha affrontato in questi anni. Rosi, più volte premiato nonostante il suo controverso modo di intendere oggi il documentario, opera stavolta solo un’attività prevalente di montaggio, tenendo una giusta distanza dalla materia. Tra qualche autocitazione, il collage aiuta a comprendere meglio il pensiero di Francesco, in una solitudine via via più sofferta, come nella storica immagine di Piazza San Pietro deserta. Voto: 6.

 

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Il Gazzettino