Cannes 75, giorni 1 e 2. Italia, impatto ok Bellocchio grande, Marcello non dispiace

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ESTERNO NOTTE di Marco Bellocchio (Cannes Première) – A distanza di una ventina d’anni, Marco Bellocchio torna ancora sul rapimento e assassinio di Aldo Moro, trasformandolo in una serie tv di 6 episodi (o in un lungo film, come preferisce definirlo il regista) della durata di 5 ore e mezzo. La rilettura non è soltanto un rigonfiamento del film, ma anche una composizione aggiornata, che spazia e incastra in una narrazione storica ed emozionante tutte le varie figure che vi parteciparono. Ne esce un racconto fluviale, che trova nel sesto e ultimo capitolo tutta la sua potenza politica, durante la confessione che il recluso Moro affida al prete confessore prima dell’esecuzione, che diventa ben presto un duro e rabbioso j’accuse, specialmente nei confronti dei suoi più illustri colleghi di partito. Così in questo tempo dilatato, mai noioso, si descrive l’Italia di quell’epoca, che poi non è così troppo diversa, a parte il clima terroristico che si viveva, da quella di oggi. Gifuni è quasi cristologico nella sua essenziale rappresentazione del martire (a cominciare già dalla prima scena nell’assemblea di partito), Buy è una moglie che fa emergere tra le pighe di donna caritatevole e cristiana tutto il suo disprezzo, Fausto Russo Alesi è un Cossiga di ambigua fratellanza, Servillo un Paolo Vi di tragica impotenza, Daniela Marra una Adriana Faranda divisa tra lotta armata e sentimenti disarmati. Qualche eccesso simbolico (la croce portata da Moro) e qualche parentesi slabbrata (la scena sull’autobus) non toccano minimamente un’opera sontuosa, che brilla soprattutto nel folgorante primo capitolo e nell’acrimoniosa parte conclusiva. Voto: 8.

LE VELE SCARLATTE di Pietro Marcello (Quinzaine) – Raphaël torna nel suo villaggio nella Piccardia alla fine della Grande Guerra, dove trova la piccola figlia ma non più la moglie, morta nel frattempo, che in paese qualcuno sussurra vittima di uno stupro. L’uomo, rozzo ma non insensibile (è un ottimo artigiano del legno), si prende cura della figlia, che nel frattempo cresce, incontrerà un giovane aviatore e soprattutto una maga che le predirà nel futuro l’arrivo di vele scarlatte che cambieranno la sua vita. Dopo i documentari su Lucio Dalla e i giovani d’oggi (quest’ultimo assieme a Munzi e Alice Rohrwacher), Pietro Marcello, nel suo primo film in lingua francese, cerca la quadratura non facile di un racconto che sposi il verismo crudo iniziale, il realismo magico e una specie di “musical” singolare, firmando un film che forse s’inceppa nella prima parte, quando a lungo c si concentra sul rugoso viso del vecchio artigiano e decolla (in tutti i sensi) nell’ultimo mezzora, quando entrano in campo Louis Garrel e la sorprendente Juliette Jouan. Tra il matriarcato, la distruzione della figura del principe azzurro e l’emancipazione femminile come libertà delle proprie scelte. Dal romanzo di Aleksandr Grin. Voto: 6,5.

LE OTTO MONTAGNE di Felix Van Groeningen, Charlotte Vandermeersch (Concorso) – Pietro è un bambino di città, vive a Torino e durante le vacanze con la famiglia si reca in un paesino di soli 14 abitanti nelle Alpi aostane, dove l’unico suo coetaneo è Bruno. Tra loro in breve nasce una amicizia molto forte, che durerà, pur con varie parentesi di separazione, una vita intera. Dal romanzo di Paolo Cognetti, premio Strega 2017, il primo dei due film italiani in Concorso (ma curiosamente diretto da una coppia di registi belgi) è una elegia bucolica della montagna, un inno devoto all’amicizia più pura e le conflittualità esistenziali con se stessi e soprattutto con i padri. Girato in un formato che nega la spettacolarizzazione del paesaggio (quindi un quadrato che indica anche l’introspezione dei personaggi), è un romanzo di formazione che pecca di eccessiva lunghezza, di una digressione asiatica un po’ farraginosa, ma che lascia intatta la forza di un rapporto solido e a suo modo “sentimentale” tra due giovani che cercano, non senza difficoltà, un proprio posto nel mondo e un proprio scopo nella vita. Sorretto dalla bella prova di Luca Marinelli e Alessandro Borghi che tornano a lavorare insieme 7 anni dopo “Non essere cattivo”, il film suggerisce il respiro fraterno della montagna. Il suo rapporto con l’uomo e il desiderio di elevarlo a spiritualità, tra la materialità di attività contadine e casearie e l’aspirazione di diventare scrittore. Una bella storia d’amicizia, più forte nella scrittura che nelle immagini, dove forse scatta poco la scintilla. Voto: 6.

TCHAIKOVSKY’S WIFE di Kirill Serebrennikov (Concorso) – Il tumultuoso rapporto tra il celeberrimo compositore russo, omosessuale, e sua moglie Antonina, che non accettò mai di divorziare, diventando vittima di un’ossessione amorosa ingovernabile e fatalmente distruttiva. Purtroppo il russo Kirill Serebrennikov non ha l’esuberanza provocatoria di Ken Russell e tutta la sua creatività sfocia al solito in un’evidente cura dello stile, che però stavolta non sorregge una materia moralmente incandescente, restando spesso impantanato in una messa in scena cupissima e paradossalmente statica e troppo ripetitiva nella sua teatralità, portando la protagonista (una brava Alyona Mikhailova) a un tormento degno di Adele H., ma ben più manieristico. Voto: 5.

 

 

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Il Gazzettino