Dopo l'omicidio si cerca di tornare alla normalità: riaperto il bar del delitto di Cannaregio

Domenica 3 Dicembre 2023 di Nicole Petrucci
Il bar di Cannaregio e la vittima Khalil Mallat

VENEZIA - Le tende rosse aperte, la pizza in vetrina e il frigo dei gelati illuminato: ha riaperto il bar Laguna in salizada San Geremia. Dopo la tragedia di sabato scorso in cui il tunisino 25enne Khalil Mallat ha perso la vita dopo un colpo di fucile sferrato dal 33enne veneziano Stefano Marconi, arrestato e detenuto nel penitenziario a Venezia, le saracinesche del bar sono rimaste abbassate per quattro giorni.
Una scelta presa dal proprietario del locale, legittimata pensando allo shock che un atto così feroce provoca in chi, di fatto, era presente all'omicidio.

A essere scossi anche tutti i cittadini e i negozianti della zona. «La polizia sta svolgendo le indagini, hanno tutte le informazioni sul caso. È meglio rivolgersi a loro - risponde un dipendente - Vogliamo solo dimenticare questa faccenda orribile». In nove anni di attività, nel bar frequentato regolarmente da lavoratori, con affetto da studenti e che attira i turisti, non è mai stata registrata neanche una baruffa che richiedesse un intervento maggiore. Coloro che passano salutano e si fermano a parlare, del più e del meno, una birretta dopo il lavoro o uno spritz tra amici. Una situazione sbagliata, quella di sabato sera, svolta nel posto sbagliato, nel luogo che per molti lavoratori, che finiscono il turno di notte, rappresenta una tappa "obbligatoria". Inevitabile che chi passa lì davanti non si fermi ad accertarsi che il personale stia bene, esprimendo con un timido sorriso il dispiacere, ma la felicità di potersi di nuovo riunire lì. Un tentativo, quello della riapertura, di ritornare alla normalità.

LE INDAGINI
L'autopsia sul corpo della vittima è stata fissata per domani: contemporaneamente si svolgerà anche un'analisi dei telefonini dell'assassino e della vittima. Una verifica tecnica alla ricerca del movente dell'accaduto. L'ipotesi è che si sia trattato di un atto finalizzato a regolare i conti collegato a questioni di droga oppure, come dicevano voci di corridoio, riguardante la sfera passionale. Rimane da confermare o smentire le ipotesi come fattore scatenante.
Nell'ordinanza con cui ne è stato disposta la custodia cautelare in carcere, il gip Luca Marini descrive il 33enne veneziano come un uomo capace di violenza estrema, privo di freni inibitori. Il "ritratto" del trasportatore parla anche di un «elevatissimo pericolo di reiterazione, che si nutre anche dello status di Marconi, capace di contatti, a tal punto che è riuscito a possedere un'arma clandestina e modificata da poterne anche facilitare l'eventuale sottrazione alle ricerche».
Un'arma clandestina con la matricola abrasa e canne e calcio tagliati che è stata trovata dalle forze dell'ordine, solamente dopo l'arresto di Marconi, nel Rio del ghetto, canale in cui il killer dopo l'assassinio ha gettato il fucile con l'intento di farlo sparire.

LE TESTIMONIANZE
Ben tre le testimonianze raccolte dai carabinieri e che sono state esaminate per ricostruire la strage. Uno dei testimoni è proprio l'amico di Mallat, anche lui di nazionalità tunisina, che quella sera si trovava in sua compagnia. Superstite grazie al destino che lo ha fatto fuggire dal luogo del fatto: è in salvo solo perché il fucile si è inceppato nel momento in cui il veneziano avrebbe cercato di sferrare un secondo colpo con lui nel mirino, come cita l'ordinanza.
Gli altri testimoni sono una coppietta in visita turistica Venezia. Usate per la ricostruzione dei fatti anche le immagini riprese dalle telecamere di sicurezza della Smart control room della polizia locale. Riprese che mostrano la presenza di Marconi sul ponte delle Guglie alle 23.23. Con sè aveva un borsone, nel quale avrebbe nascosto l'arma del delitto.
 

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