VENEZIA - Devono lasciare Bibione dopo che, in un anno e mezzo, si erano praticamente integrati: i piccoli vanno a scuola, i grandi lavorano. Ma devono passare da una struttura provvisoria, a una gestita. Solo che quelle disponibili sono nel sud Italia, perché nel Veneto sono 18 su 563 i Comuni hanno attivato i Sai (Sistema di accoglienza e integrazione). E per loro, un gruppo di profughi ucraini scappati dalla guerra, inizia una nuova odissea di cui avrebbero fatto volentieri a meno.
Così ieri mattina il gruppo di rifugiati ospitati al Centro di accoglienza straordinaria di Bibione, gestito dalla società Qualitas di Portogruaro, si è radunato alle porte della Prefettura di Venezia con la richiesta di essere ricevuto per avere informazioni più precise riguardo la comunicazione arrivata da Roma circa il trasferimento, sulla base di una “segnalazione”, di 19 di loro in altre località d’Italia, tra cui Avellino, Vasto, Fabriano e Cosenza.
LA SITUAZIONE
Gli ucraini attualmente ospitati al Cas del Comune di San Michele al Tagliamento sono 43, di cui 19 minori.
NUOVI DISAGI
«Spostarci in un’altra regione inoltre - ha aggiunto un’altra signora del gruppo - ci obbligherebbe a cambiare tutta la nostra documentazione senza la quale saremmo impossibilitati di seguire qualsiasi iter sanitario, conosco persone gravemente malate che sono dovute tornare in Ucraina per potersi permettere un’assistenza medica».
LA LETTERA
La lettera inviata al Servizio centrale sistema accoglienza e integrazione, al Prefetto di Venezia, al ministero dell’Interno, al consolato di Ucraina a Milano e all’ambasciata di Ucraina in Italia da parte dei profughi non è sostanzialmente servita a nulla: «Ci hanno detto di spedirne un’altra con annesse tutte le motivazioni della nostra opposizione al trasferimento» dice Kateryna.
Assieme agli adulti, davanti alla Prefazione c’erano anche i loro bambini, il trasferimento sarebbe estremamente dannoso soprattutto per loro, lo spostamento a metà dell’anno scolastico infatti determinerebbe ulteriori disagi sia nell’apprendimento che a livello psicologico, rendendo inutili tutti gli sforzi per favorire la loro integrazione ed il superamento dei traumi conseguenti all’esodo forzato dai luoghi di guerra messi in atto dagli operatori, dagli istituti scolastici, dal Comune, dalla Città Metropolitana di Venezia e dal volontariato.
Il messaggio che è emerso da questo incontro è stato chiaro , i profughi non vogliono lasciare il Veneto: «Siamo pronti ad iniziare una vera e propria lotta pacifica» hanno dichiarato insieme prima di andarsene.