Aggressione a Treviso, la vittima del pestaggio del 17enne: «Voglio aiutare quel bullo. L'ho perdonato, ora per me è come un figlioccio»

Mercoledì 10 Aprile 2024 di Valeria Lipparini
Aggressione a Treviso, la vittima del pestaggio del 17enne: «Voglio aiutare quel bullo. L'ho perdonato, ora per me è come un figlioccio»

TREVISO - «Aiuterò quel ragazzo violento. È una promessa che ho fatto a suo padre. Trasformeremo la sua rabbia incanalandola verso lo sport. Potrebbe diventare un campioncino. E la sua frustrazione in creatività. Potrebbe diventare un “testimonial” per i tanti minorenni che, come lui, sono caduti nel vortice delle baby gang. Si trovano invischiati in una rete che scambiano per famiglia. Invece, è soltanto spazzatura». Parla così Luca Gobbo, il 50enne aggredito venerdì in vicolo Rialto e colpito con calci e pugni in testa e sul tronco. «Non ce l’ho con lui. È giovane, ha solo 17 anni. Ha un padre e una madre che stanno facendo di tutto per salvarlo».

Così, la promessa è come la conseguenza logica di un ragionamento.

LA PROMESSA

«Adesso quel 17enne sbandato è come se fosse diventato il mio figlioccio. Per lui, ci sarò sempre. Se mi chiedesse di scendere dalla Svizzera (dove abita ndr) una volta al mese per venire a trovarlo, troverei il tempo per farlo». Luca lavora per produrre algoritmi finanziari. Matematica e creatività insieme. Ed è un po’ la ricetta che vuole applicare sul 17enne che è stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale e, nel corso dell’udienza di convalida davanti al Tribunale dei minori, è stato inviato in una comunità fuori regione. «Suo padre non ha chiesto sconti. Non vuole difenderlo a tutti i costi. Anzi, ha preteso che il figlio paghi il conto con la giustizia. Quando uscirà da questa esperienza, però, il ragazzo deve trovare una rete di salvataggio per recuperarlo. Noi ci saremo, io e suo padre insieme».

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IL RISCATTO

Luca Gobbo è convinto che “un trauma non debba diventare un secondo trauma ma possa trasformarsi in una possibilità di crescita”. Il 17enne, il padre e la vittima si riuniranno, attorno a uno stesso tavolo, per una cena chiarificatrice. «Ci troveremo tra un mese e io farò parlare quel ragazzo. Voglio sentire dalle sue parole cosa vuole fare - sottolinea Gobbo - Cercherò di capire cosa gli manca. La cosa più bella è quella di trasformare tanta violenza in energia buona da “spendere” in prestazioni sportive. Se si sente privo di attenzione, potrebbe diventare il motivatore di coetanei annoiati e violenti della sua generazione. E dare lui stesso l’attenzione agli altri». E dato che il padre ha ammesso che non sa cosa altro fare, si dice pronto a fare tutto quello che può per quella famiglia che gli è diventata quasi simpatica. «Hanno bisogno di ritrovare tutti, anche la sorella, un po’ di serenità. Spero tanto di riuscire nel compito che si sono offerto di svolgere. Avrò un alleato nel papà che vuole contribuire a trovare una soluzione per il futuro del figlio».

LA SFIDA

La sfida è quella di trasformare una caduta in risalita. «La strada non sarà facile e probabilmente richiederà tanta fatica. Ma io e suo padre siamo disposti a farla. Adesso, la decisione finale dipende solo da lui» conclude Gobbo.

Ultimo aggiornamento: 09:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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