MEDIO ORIENTE

Israele, Netanyahu: «Respingere nascita Stato palestinese». Poi evoca l'allargamento della guerra al Libano

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Domenica 18 Febbraio 2024

Netanyahu: governa respinga nascita Stato palestinese

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha chiesto oggi al governo di respingere «ogni tentativo di imporre ad Israele in maniera unilaterale uno Stato palestinese».

Il premier, precisa un comunicato, ha sottoposto al voto dei ministri una dichiarazione in cui ribadisce l'opposizione di Israele ad ogni «diktat internazionale». Dopo aver ribadito che un accordo con i palestinesi deve scaturire da trattative bilaterali, Netanyahu afferma che «un riconoscimento unilaterale dello Stato palestinese, dopo il massacro del 7 ottobre, elargirebbe un premio enorme al terrorismo… ed impedirebbe qualsiasi accordo di pace in futuro».

Nuovi incidenti a confine nord di Israele vicino al Libano

Tensione elevata anche oggi al confine nord di Israele. Secondo i media locali esplosioni sono state segnalate nella costa di fronte a Naharya e sul monte Hermon, nell'area di confine fra Israele, Siria e Libano. La natura di questi incidenti non è ancora nota. Nel frattempo il portavoce militare ha confermato che in mattinata l'aviazione di Israele ha colpito una «infrastruttura terroristica degli Hezbollah», nella zona di Yarun, nel Libano meridionale. L'artiglieria di Israele, ha aggiunto il portavoce, ha indirizzato il fuoco verso i villaggi libanesi di Aalma al-Shaab e al-Dahira «per rimuovere minacce incombenti».

Netanyahu: «Le elezioni si terranno tra qualche anno»

«Le elezioni hanno una data: tra qualche anno. Suggerisco di non dividerci, abbiamo bisogno di unità in questo momento». Lo ha detto il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu nella conferenza stampa convocata stasera, facendo riferimento alle richieste di nuove elezioni.

Israele: continua operazione a Khan Yunis

L'esercito israeliano continua ad operare nella parte occidentale di Khan Yunis, da dove si arriva a Rafah, e all'interno dell'ospedale Nasser della città. Ma prosegue anche le attività nel centro della Striscia. Lo ha fatto sapere il portavoce militare secondo cui sono stati condotti «raid mirati su infrastrutture terroristiche», «uccisi terroristi e localizzate larghe quantità di armi nell'area».

Guerra Israele, la diretta di oggi 18 febbraio.

di Lorenzo Vita

Avanzare su Rafah, la città dove Hamas è asserragliata insieme a più di un milione di palestinesi, o dare ascolto agli avvertimenti della comunità internazionale.

Continuare con l'intransigenza nei negoziati, o accettare un compromesso con Hamas su aiuti e tregua in cambio della liberazione degli ostaggi. Ristabilire rapporti proficui con il migliore alleato di Israele, gli Stati Uniti, disinnescando le tensioni, o proseguire sulla strada del gelo con Joe Biden, magari sperando in un cambio della guardia alla Casa Bianca. Per il primo ministro Benjamin Netanyahu si avvicina il momento della scelta. O delle scelte. E la conferenza stampa di ieri ha fatto capire che per Bibi è ancora il momento della linea dura e soprattutto di escludere le lezioni anticipate. Intanto al 134esimo giorno di guerra, l'Idf sta continuando a martellare il centro della Striscia e Khan Yunis, nel sud. Il portavoce militare ha detto che nell'ospedale sono «stati arrestate circa 100 persone sospettate di attività terroristica».

L'intransigenza

Secondo il premier israeliano, un accordo sugli ostaggi è possibile solo se Hamas ammorbidisce le sue condizioni, che Netanyahu ha continuato a definire "deliranti". E le trattative, a questo punto, possono dirsi arenate. A chiarirlo era stato anche il primo ministro del Qatar, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, che ieri si è detto ancora possibilista sull'accordo pur ammettendo che l'andamento delle discussioni non era "molto promettente". La sfiducia nasce anche dalle parole del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, che oltre ad accusare Israele dello stallo, ha confermato ancora una volta le condizioni per la liberazione degli ostaggi: «cessate il fuoco, ritiro dell'esercito occupante dalla Striscia di Gaza, rimozione del blocco e fornitura di un rifugio sicuro agli sfollati». Mentre una fonte di Hamas ha riferito all'Afp l'intenzione di sospendere i negoziati in assenza di nuovi aiuti per un territorio che da più di quattro mesi è un campo di battaglia.

L'emergenza

La situazione nell'exclave palestinese si fa sempre più drammatica. E a preoccupare è soprattutto lo scenario di un'operazione militare a Rafah. Per Netanyahu non vi sono dubbi. «Israele combatterà fino alla vittoria completa e questo include anche l'azione a Rafah», ha detto il primo ministro, ricordando che «chi vuole impedirci di operare a Rafah, in sostanza, ci dice di perdere la guerra. Non lascerò che ciò accada», ha detto il premier, che ha poi assicurato di «non cedere ad alcuna pressione». Aggiungendo: «Forse sarà necessaria un'operazione militare al nord», facendo riferimento allo scontro con gli Hezbollah in Libano. Ma Netanyahu, tra minacce ad Hamas e frasi per ricompattare la maggioranza, ha anche confessato ai giornalisti che qualsiasi assalto alla città più a sud della Striscia avverrà solo «dopo aver consentito ai civili nelle zone di combattimento di evacuare in aree sicure».

 

Gli Usa

Questa frase va incontro soprattutto agli avvertimenti degli Stati Uniti, che da tempo suggeriscono cautela all'alleato. Il Wall Street Journal ha rivelato che l'amministrazione Biden starebbe lavorando all'invio di nuove munizioni, bombe e kit a Israele. Ma questo supporto può concretizzarsi più facilmente se Netanyahu concede qualcosa alla diplomazia Usa. Ieri, a Monaco, il segretario di Stato Anthony Blinken ha ribadito al presidente israeliano Isaac Herzog, che «gli Stati Uniti non possono sostenere un'operazione militare di terra a Rafah senza un credibile ed applicabile piano per garantire la sicurezza di più di un milione di rifugiati». E invitando il capo dello Stato a pensare alle opportunità date da una possibile normalizzazione con i Paesi arabi, Blinken ha di fatto rinnovato la spinta di Washington a pensare a un futuro piano per Gaza che preveda anche il riconoscimento di uno Stato palestinese. Ipotesi che al momento Netanyahu non sembra volere contemplare. Ma Herzog non ha chiuso le porte a queste "opportunità" suggerite da Blinken, evitando quindi quel gelo che invece si è palesato nei rapporti tra Biden e il premier israeliano, sempre più isolato e sempre più sotto pressione.
Una pressione che non è solo internazionale, ma anche interna. Ieri, migliaia di manifestanti si sono radunati per chiedere un accordo sugli ostaggi e le elezioni anticipate. Netanyahu ha smentito l'ipotesi di un voto anticipato definendole «l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento». Ma l'operazione a Rafah, il negoziato sugli ostaggi e le frizioni con Washington possono rivelarsi fattori decisivi per la sua sopravvivenza politica.

Ultimo aggiornamento: 12:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA