Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Oscar di guerra, tra Olocausto e la Bomba
E Garrone non può far rima con delusione

Martedì 12 Marzo 2024

Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: Garrone non fa rima con delusione. Fare il tifo anche per gli Oscar è un esercizio inevitabile, ma è altrettanto necessario quello di riconoscere la migliore qualità degli avversari, che nel caso di “La zona d’interesse” appare, cinematograficamente, evidente. “Io capitano” ha ottenuto il massimo, consapevoli che Garrone ha fatto anche più volte di meglio nella sua carriera. E quindi già finire nella cinquina delle nomination è un traguardo soddisfacente, considerando anche l’autolesionismo dei francesi, che non indicarono “Anatomia di una caduta” come film internazionale (ma il notevole lavoro di Justine Triet, ultima Palma d’oro, si è rifatto con la statuetta per la miglior sceneggiatura originale) e l’ostracismo delle autorità politiche polacche verso il loro “Green border” della regista Agnieszka Holland, che del film di Garrone è il controcanto esplicito, per durezza e realismo. D’altronde a chiudere la voce sugli inevitabili mugugni sul risultato, compreso quello spiacevole della vigilia di Massimo Ceccherini (co-sceneggiatore del film di Garrone) sulla obbligatoria vittoria degli ebrei, ci ha pensato, con equilibrio e correttezza, lo stesso regista romano: «È stato un viaggio fantastico, una grande avventura. Ringrazio tutti coloro che ci hanno supportato in Italia in questo periodo, che hanno tifato per noi e che il film lo hanno amato. Tutte le persone che lo hanno visto nei cinema del mondo e ci hanno regalato grandi emozioni. E il viaggio non finisce qui perché ad aprile andremo in Senegal dove tutto è iniziato e porteremo il film nei villaggi più remoti con degli schermi mobili». Senza polemiche e rimpianti.

Tratta dal romanzo di Martin Amis, “La zona d’interesse” dell’inglese Jonathan Glazer, opera geometricamente astratta e radicale sull’Olocausto, narrato praticamente fuoricampo, ha vinto dunque meritatamente l’Oscar come miglior film internazionale (perché parlato principalmente in tedesco), senza dimenticare anche la statuetta per il miglior sonoro (un lavoro impressionante e disturbante di Tarn Willers e Johnnie Burn). Un successo tra l’altro mai in discussione, in tutti i pronostici elaborati in questi mesi, un film che sta riscuotendo anche in Italia un’attenzione del pubblico sorprendente, vista la singolare scelta estetica, che lo sta premiando, al momento, con quasi 3 milioni di incasso. Glazer, i cui bisnonni erano ebrei, ha parlato di disumanizzazione del mondo, di film anche sul presente: «Siamo qui come uomini che rifiutano come il loro essere ebrei e l’Olocausto siano dirottati altrove, che rifiutano un’occupazione che ha portato a un conflitto con tanti morti innocenti, sia che siano le vittime del 7 ottobre o dell’attacco in corso a Gaza», messaggio accolto soprattutto all’esterno, dov’era in atto un sit-in per la pace.

Se “La zona d’interesse” era dato per vincitore certo nella sua categoria, ancora di più lo era “Oppenheimer”, forte di 13 nomination, tradotte poi sul palco in 7 statuette, tutte fondamentali: miglior film, miglior regia a Christopher Nolan, miglior attore protagonista (Cillian Murphy), quello non protagonista (Robert Downey jr.), montaggio, colonna sonora e fotografia. Un film apprezzato da critica e pubblico, situazione insolita tra i premiati in casa Academy, che mette d’accordo un po’ tutti. Una dimostrazione ulteriore di come quest’anno sia sensibilissima l’attenzione per le problematiche politiche nel mondo e le situazioni di guerra, specialmente in Ucraina e Gaza, una volontà di premiare opere realistiche fortemente caratterizzate dalla Storia, che porta i propri echi tragici fino ai giorni attuali. Il film di Nolan, tra i suoi migliori e soprattutto più lineari, ci riporta all’invenzione della bomba atomica e dei tormenti esistenziali di uno dei suoi fondamentali inventori, appunto J. Robert Oppenheimer, conscio dei pericoli insiti nel grandioso traguardo scientifico, minaccia ormai sempre più ricorrente in questo nostro irrequieto oggi, dopo decenni di insolita pace, almeno nel mondo occidentale. Insomma: stop ai fantasy, ai supereroi, al rifugiarsi in disparte della realtà, privilegiando il dramma reale di un’umanità sempre più preoccupata. E squilibrata.

Alle spalle di “Oppenheimer” si notano i 4 Oscar a “Povere creature!” di Yorgos Lanthimos, recente Leone d’oro alla Mostra, con Venezia che comunque si fa sempre notare ogni anno per le sue scelte festivaliere. Tre sono tecnici: scenografia, costumi, trucco e acconciatura; ma uno è tra quelli esaltanti. Miglior attrice è dunque Emma Stone, con tanto di strappo al vestito in piena cerimonia, alla sua seconda statuetta, dopo “La la land”, qui davvero formidabile interprete di una specie di creatura frankensteiniana. Premio condivisibile, anche se dispiace che un’attrice altrettanto formidabile come Sandra Hüller debba sempre rinunciare alla sua consacrazione. Niente da fare nemmeno per la nativa Lily Gadstone in “Killers of the flower moon” di Scorsese, film rimasto al palo. Giusto il premio a Da’Vine Joy Randolph come non protagonista in “The holdovers – Lezioni di vita”, bello quello a Hayao Miyazaki per l’animazione di “Il ragazzo e l’airone”, inevitabile quello a Wes Anderson per il miglior corto (“La meravigliosa storia di Henry Sugar”, anch’esso griffato Mostra di Venezia), più discutibile la sceneggiatura non originale a “American fiction”, esempio fastidioso di dosaggio emozionale. In definitiva uno dei migliori palmares (tra i candidati, ovviamente, perché le “assenze” non mancano mai), più attento alla qualità che al politicamente corretto, troppo in voga da tempo.

Sullo spettacolo in sé, condotto da Jimmy Kimmel (battuta ironica su Trump) c’è ben poco da aggiungere, se non le solite litanie tra noia e sfacciataggine, gaffe (Al Pacino che decreta il film vincente, saltando il protocollo) e parentesi di spettacolo (Ryan Gosling, in eccentrico completo rosa shocking, che fa di “I’m just Ken” un karaoke, da “Barbie”), provocazioni paradossali (John Cena nudo sul palco che annuncia il premio ai migliori costumi) e serate televisive da addormentarsi (la modesta diretta Rai, per tacere di Televideo che scambia “Io capitano” come il film su Schettino e il naufragio della Costa Concordia).

 

 

 

 

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