Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Il mimetismo del Male: l'astrazione di Glazer
rafforza l'orrore dell'Olocausto. Grande film

Venerdì 23 Febbraio 2024

Grand Prix speciale della Giuria all’ultimo festival di Cannes, “La zona d’interesse” di Jonathan Glazer è un film agghiacciante. E perciò magnifico. Racconta la tragedia dell’Olocausto, vissuto nel lager di Auschwitz, dal punto di vista più indicibile: quello del fuori campo. Un’operazione di distorsione dello sguardo, catturato nella placida quotidianità della casa del comandante Rudolf Höss, attraverso le banalità familiari, tra figli e giardini, mentre dell’orrore, del castello del Male arrivano malamente qualche eco e il fumo che sale lento. In questo sembra il controcanto di “Il figlio di Saul”, straordinario esordio dell’ungherese László Nemes, anch’esso premiato a Cannes nel 2015, dove il fuori fuoco alimentava, per altro tramite un’immersione frenetica tra le camere a gas e le camerate dei deportati, la tragedia estrema del mattatoio, attraverso la scioccante dimostrazione, nell’uso altrettanto magistrale del fuori campo, dell’irrappresentabilità dell’osceno sterminio nazista. Il londinese Glazer, noto negli anni ’90 per i suoi innovativi videoclip musicali e da regista almeno per “Under the skin”, suo precedente lavoro passato a Venezia ormai un decennio fa, osa molto di più. Compie l’ardita trasposizione dello splendido romanzo di Martin Amis, già specchio delle memorie dello stesso Höss scritte di suo pugno prima della condanna a morte nel 1947, con una lucida, radicale, geometrica, raggelante escursione, tra inquadrature fisse e lunghi carrelli, nelle stanze asettiche e “protette” di una casa perfettamente regolata, dove la Storia sembra perfino rinnegare se stessa, attraverso la mistificazione delle azioni, che farebbero pensare più a una commedia umana, che non alla sua più nefasta predisposizione alla mostruosità. Sradicando in parte il testo letterario, composto a tre voci intrecciate, due ufficiali delle SS e un Sonderkommando (ebreo recluso costretto a una collaborazione forzata, per ritardare la propria eliminazione), riducendolo in pratica al solo punto di vista nazista, Glazer rinuncia alla complessità delle voci, ma non ne semplifica la loro dinamica perversa, mantenendo ugualmente alta l’angoscia tramite l’astrazione assoluta degli eventi (schermo nero compreso), posando infine lo sguardo sulla realtà della tragedia nell’irruzione finale nelle stanze museali di Auschwitz, altrettanto svuotate nel tempo dalla ferocia passata, e perfino insostenibili nel loro silenzio, come ogni visitatore odierno può facilmente constatare; o nelle riunioni plenarie dei responsabili dei lager. “La zona d’interesse”, che resterà nella nostra memoria cinefila, è un film che amplifica, nella sua azione quasi mimetica, l’essenza del Male, senza mostrarne volutamente la carne offesa. In questo è chiaramente meno illustrativo, ma più intriso di dolore, raccapricciante nel suo stesso coniugare lo sterminio con la più innocua catena di attività irrilevanti. Ed è di questo che ancora oggi dobbiamo avere più paura.

Voto: 8,5.

 

 

Ultimo aggiornamento: 11:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA