Sono catalogati migliaia e migliaia di nomi e cognomi italiani, tedeschi, sloveni, ungheresi, portoghesi, spagnoli.
(per chi volesse consultarlo questo è il link: Archivio Storico della Segreteria di Stato)
«Si oggi scrivo a Lei, è per pregarla di aiutarmi da lontano». Le carte d’archivio danno voce ad accorate richieste. Sono studenti, madri di famiglia, insegnanti, operai, imprenditori, artigiani. Ci sono casi di ebrei che chiedono di essere liberati dalla detenzione, altri aspettano un attestato di battesimo per provare l'appartenenza alla arianità.
Ognuna di queste istanze veniva a costituire una pratica che, una volta evasa, era destinata alla conservazione. Si tratta di oltre 2.700 pratiche. In Segretaria di Stato si attivavano i canali diplomatici per cercare di fornire ogni aiuto possibile, tenendo conto della complessità della situazione politica su scala mondiale.
Sulla rivista Shalom il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha fatto alcune valutazioni a proposito della digitalizzazione e dei risultati emersi. «Il primo commento - osserva- è che è una cosa buona, più notizie si hanno, più documenti sono accessibili, più ci si avvicina alla conoscenza dei fatti. E solo con una conoscenza e un'analisi accurata si potrà arrivare a un'interpretazione che non sia influenzata da pregiudizi e da passioni». Ma l'archivio pone a suo parere anche alcuni problemi.
«Rispetto ai dati messi già a disposizione e che continuano ad essere messi a disposizione, è necessaria una ricerca accurata che analizzi i diversi aspetti del problema. Attualmente sono più le domande delle risposte. Chi sono le persone che si rivolgevano al Vaticano? Erano rimasti ebrei o erano ebrei che avevano abbracciato la religione cattolica? O l'avevano abbracciata i loro familiari? E per questo si sentivano ingiustamente perseguitati e chiedevano la protezione del Vaticano? Capire la distribuzione e la tipologia delle domande è molto importante. L'altra questione è cosa faceva effettivamente il Vaticano. Se c'era una procedura burocratica o se c'era un effettivo impegno, anche entusiastico, nel cercare di alleviare le sofferenze delle persone. Se c'era, verso chi era diretto, se c'erano preferenze di situazioni, di religione o altre motivazioni. C'è poi la questione se fosse effettivamente possibile fare qualche cosa. Molto spesso le richieste erano presentate per via diplomatica, ci mettevano settimane per arrivare a destinazione quando gli interessati erano ormai già stati deportati e uccisi. Ci vorrà molto tempo perché i casi sono tanti, per capire cos'è effettivamente successo perché non è sufficiente aprire un file con una domanda che arriva, bisogna vedere tutto il resto».
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