Il giorno delle dimissioni di Papa Benedetto XVI il Messaggero pubblicò in prima pagina il fondo di Franco Garelli, sociologo delle religioni. Qui di seguito riproponiamo il testo completo
E' un grande atto di umiltà e di onestà, ma nello stesso tempo anche di enorme fiducia nelle risorse della Chiesa, quello compiuto ieri da Benedetto XVI, con l’annuncio delle sue dimissioni da Pontefice.
Come è emerso più volte nei suoi provvedimenti per combattere la pedofilia del clero, o nelle prese di posizione contro i negazionisti; o anche quando ha avuto l’ardire – discorso questo controverso – di ricordare che c’è un po’ di violenza nella storia dell’islam (ma anche di tutte le religioni storiche come gli è stato ricordato, e come egli stesso non poteva non essere consapevole). Dopo queste dimissioni sorprendenti, la domanda più ricorrente riguarda il futuro della Chiesa. Non soltanto l’identikit del nuovo Pontefice,ma anche quale possa essere il Papa più adatto a governare il cattolicesimo universale dopo la stagione di Benedetto XVI. A partire dall’eredità dell’attuale pontificato, quali aggiustamenti la chiesa deve mettere in atto permeglio rispondere alla sfide dell’epoca attuale? Una prima sfida è certamente rappresentata da una maggior apertura della chiesa di Roma a tutte le genti, alle diverse società e culture che coltivano e professano la fede cristiana. Qui forse è emerso un limite della pur alta proposta teologica interpretata da Papa Ratzinger, incentrata più su un modello di cristianesimo di matrice europea (e ellenistica) che in grado di raccordarsi ai valori, ai costumi, al sentire dei diversi popoli e continenti. La missione della chiesa è di portare il Vangelo a tutte le genti, incarnandolo nel loro vissuto, rispettando e valorizzando le diverse tradizioni culturali, delineando un cammino plurimo alla ricerca della comune verità e nella stessa professione di fede.
La maggior apertura dovrebbe anche riguardare l’atteggiamento verso ilmondo contemporaneo, verso quella modernità avanzata troppo spesso considerata dalla Chiesa in questi ultimi anni come un nemico da cui difendersi o come la tomba della proposta cristiana. Da troppo tempo la chiesa di Roma si pone sulla difensiva nei confronti del nuovo che avanza, anche per contrastare quella decadenza dell’Occidente i cui effetti deteriori sembrano individuabili nel relativismo etico, nel vivere come “se Dio non ci fosse”, nella rimozione delle questioni ultime, nella crisi dello spirito pubblico, nel venir meno della solidarietà, nell’individualismo esasperante ecc. Papa Ratzinger a più riprese ha stigmatizzato questo processo involutivo, che tuttavia ha spinto vari settori della chiesa a chiudersi su se stessi e a perdere il dialogo col mondo. Infine, tra lemolte sfide che attendono il nuovo Papa, vi è quella evocata dal sogno coltivato dal cardinal Martini più di dieci anni or sono, ai tempi del Giubileo del 2000: l’esigenza di un nuovo Concilio ecumenico, che spinga tutti i vescovi a sentirsi più responsabili nel governo della chiesa, e capaci di affrontare lemolte sfide etiche e religiose che la modernità porta con sé. Da un lato il governo della chiesa – in linea con le indicazioni del Concilio Vaticano II – deve essere più collegiale, valorizzando le varie anime del cattolicesimomondiale; dall’altro occorre che si affrontino le molte questioni che oggi lacerano le coscienze sia dei fedeli che degli uomini di buona volontà (in tema di bioetica, di separazione e divorzi, di rapporto natura-cultura ecc.). L’invito, dunque, è ad osare di più per essere anche oggi fedeli a quella “Parola” su cui molto si è speso Papa Ratzinger.